La natura condominiale degli spazi si può desumere dalle deposizioni testimoniali
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REGGIO CALABRIA, 15 LUGLIO - In tema di accertamento della natura condominiale dei beni e ai fini dell’applicazione della presunzione di cui all’art. 1117 c.c., non è infatti richiesto il rigore probatorio proprio dell’azione di rivendica. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. II Civile, n. 11729/2019, depositata dalla il 3 maggio.
Il caso. Un gruppo di condomini convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale competente un altro gruppo di condomini assumendo di esser condomini di un complesso composto da due gruppi di abitazioni autonome, poste in parallelo e divise da uno spazio intermedio ove insisteva una corsia utilizzata dalle auto per giungere alle porzioni esclusive. Gli attori sostenevano che le controparti, nel modificare la posizione dei cancelli siti all’accesso delle loro proprietà, avevano ridotto le aree scoperte destinate al parcheggio delle auto ed avevano iniziato a sostare i veicoli, occupando le nicchie di manovra e lo spazio comune, in modo da rendere difficoltosi l’ingresso e l’uscita dei veicoli dai garage degli altri condomini. La domanda attorea veniva rigettata.
Avverso tale sentenza i soccomberti interponevano appello. La Corte d’Appello riformava però la decisione, ritenendo - anzitutto - che la lamentata occupazione abusiva dello spazio comune mediante lo spostamento dei cancelli delle proprietà dei appellati non fosse stato dedotta tempestivamente in primo grado e non potesse essere presa in esame. Aveva, invece, stabilito che gli appellanti avevano occupato abusivamente con i propri veicoli le nicchie di manovra e lo spazio comune, rendendo difficoltoso il transito in entrata ed in uscita dalle proprietà individuali. Pertanto, condannava gli appellanti a risarcire il danno, quantificato in Euro 1.000,00.
Avverso tale sentenza i soccombenti proponevano ricorso per cassazione con quattro motivi di doglianza. La Suprema Corte rilevava in primo luogo che non sussisteva violazione di legge in relazione alla natura condominiale delle nicchie collocate lungo gli spazi comuni, natura desunta dalle deposizioni testimoniali in assenza di prova scritta. In tema di accertamento della natura condominiale dei beni e ai fini dell’applicazione della presunzione di cui all’art. 1117 c.c., non era, infatti, richiesto il rigore probatorio proprio dell’azione di rivendica. Altresì, veniva precisato che “in considerazione del rapporto di accessorietà necessaria che lega le parti comuni dell’edificio alle proprietà singole, la condominialità non è esclusa per il solo fatto che le costruzioni siano realizzate, anziché come porzioni di piano l’una sull’altra (condominio verticale), quali proprietà singole in sequenza (villette a schiera, condominio in orizzontale)”. Gli Ermellini ritenevano infondata anche la deduzione circa la sussistenza di rapporti di parentela tra i testi e le parti. Infatti, secondo gli stessi “La decisione non è infine censurabile, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., per aver ritenuto credibili le dichiarazioni testimoniali de relato o rese da soggetti legami da vincoli di parentela e professionali con le parti.
Premesso che, a seguito della pronuncia di incostituzionalità dell’art. 247 c.p.c., la sussistenza di rapporti di parentela tra i testi e le parti non si traduce in un motivo di incapacità a testimoniare, nè comporta ex se alcun giudizio di inattendibilità delle dichiarazioni rese in giudizio, e che la testimonianza de relato, pur se munita di una valenza probatoria attenuata, è certamente utilizzabile per la decisione specie se, come nel caso concreto, confermata dal raffronto con le altre risultanze processualità, resta che l’apprezzamento delle prove ed il giudizio di attendibilità dei testi, anche in presenza di particolari legami con le parti, è rimessa al giudice di merito ed è sindacabile solo per vizi di motivazione. La violazione dell’art. 116 c.p.c. non è - invece - invocabile per censurare il modo in cui il giudice abbia valutato le risultanze probatorie e selezionato quelle ritenute idonee a sostenere le decisioni assunte, ma solo se sia stato disatteso il principio di libera valutazione delle risultanze processuali in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, se sia stata valutata secondo prudente apprezzamento una prova soggetta ad un diverso regime”. Ugualmente infondati si ritenevano gli ultimi due motivi di ricorso relativi, da un lato, all’accertamento dell’ampiezza effettiva degli spazi comuni di manovra (accertata dal giudice tramite consulenza tecnica d’ufficio) e, dall’altro, alla ripartizione delle spese processuali.
Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso.
Avv. Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express