Il "mostro di Foligno" andrà in casa di cura ma per la gente ritorna l'incubo
Criminologia Emilia Romagna

Il "mostro di Foligno" andrà in casa di cura ma per la gente ritorna l'incubo

martedì 17 febbraio, 2015

BOLOGNA , 17 FEBBRAIO 2015 - Il “mostro di Foligno” dopo vent’anni torna a fare paura, molta paura. Il fine pena di Luigi Chiatti, in carcere dal 1993 per aver ucciso due bambini, è fissato per il prossimo 3 settembre. Dopo, è previsto che l’uomo trascorra altri tre anni in un Opg, un ospedale psichiatrico giudiziario.

Qui non è questione di certezza della pena: Chiatti, reo confesso per gli omicidi di Simone Allegretti, 4 anni, e Lorenzo Paolucci, 13, commessi fra il 1992 e il 1993, esce perché è stato condannato a 30 anni. Considerati indulto, buona condotta e benefici vari previsti dalla legge Gozzini, molto semplicemente “il mostro di Foligno”, che oggi ha 47 anni, ha pagato il proprio conto alla giustizia.

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Il 3 settembre le porte del carcere si apriranno ma non per consentire a Chiatti di tornare libero. Nella relazione degli operatori è scritto che in lui “è assente qualsiasi revisione critica e consapevolezza” sui crimini commessi. Di conseguenza, il tribunale di sorveglianza ha stabilito che è socialmente pericoloso e dovrà trascorrere tre anni in un Opg. Al termine, spetterà agli psichiatri stabilire se la pericolosità persiste ancora. Se sì, la permanenza sarà prorogata di altri tre anni, poi ancora una valutazione e si vedrà. In teoria, Luigi Chiatti potrebbe tornare del tutto libero nel 2018 o mai più.

Ecco il punto di questa vicenda: l’incertezza. Perché il caso del “mostro di Foligno” riapre un annoso problema mai risolto dagli anni Settanta: l’applicazione concreta della legge Basaglia che abolì i manicomi. E’ infatti previsto che anche gli ospedali psichiatrici giudiziari vengano chiusi (sono sei in tutta Italia) e sostituiti dalle Rems, le residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza. Ma sono anni che la chiusura viene prorogata e se a settembre le Rems umbre ancora non saranno pronte, dove andrà Luigi Chiatti? Passerà da un istituto all’altro? E con quali garanzie di sicurezza?

L’allarme è stato lanciato da un consigliere comunale di Foligno, Chiara Allegretti, che è anche la sorella di una delle vittime. Per questo in Consiglio ha chiesto non solo all’Amministrazione umbra di adoperarsi per il funzionamento delle Rems, ma anche che nei confronti di Luigi Chiatti, “soggetto ad alta pericolosità sociale, vengano adottate tutte le necessarie misure sanitarie, sociali e giudiziarie previste con gravi conseguenze sia per la sua salute, sia soprattutto per la sicurezza della collettività”.

L’appello di Chiara Allegretti è stato accolto all’unanimità dalle forze politiche, ma al di là della solidarietà e della buona volontà, i tempi restano stretti e alla scarcerazione di Chiatti mancano sei mesi o poco più. Intanto la difesa ha chiesto che le perizie sul condannato vengano fatte da un esperto terzo, opponendosi alla relazione che ha dichiarato Chiatti “socialmente pericoloso”. Dunque, che cosa succederà dopo la scarcerazione? Se lo chiedono le famiglie Allegretti e Paolucci, ma se lo chiede anche tutta la cittadinanza umbra e non solo.

Poi, quando le ultime novità sono state rese pubbliche, qualche giorno fa, più d’uno si è tornato a chiedere perché all’omicida di due bambini era stato “risparmiato” l’ergastolo. A maggior ragione visto che Chiatti, durante il processo, dichiarò che all’uscita dal carcere avrebbe ucciso ancora ma facendo “più attenzione”. Sono passati vent’anni da quella frase choc, ma chi seguì il processo la ricorda ancora molto bene.

Per capire il perché della sentenza, bisogna ancora una volta fare ricorso ai tecnicismi della legge e alla differenza fra la psichiatria clinica e quella forense: nel processo di primo grado Chiatti fu condannato all’ergastolo perché venne accolta la tesi di Vittorino Andreoli, lo psichiatra nominato dall’accusa. Secondo Andreoli, Chiatti aveva sì una “situazione psicopatologica”, ma non tale da escludere o limitare grandemente la capacità di intendere e di volere. In altre parole, mentre uccideva sapeva quello che faceva e quindi poteva essere punito con il massimo della pena.

In sede di Appello, invece, venne accolta la tesi dei periti nominati dalla Corte d’Assise, che dichiararono Chiatti semi-infermo di mente. Per questo la pena diminuì, come la legge prevede, passando dall’ergastolo a 30 anni di reclusione, con le conseguenze pratiche che si presentano oggi. Come andrà a finire? Al momento è impossibile dirlo con certezza, l’unica certezza è che per le famiglie delle due piccole vittime - e non solo per quelle - la paura non è ancora finita.

Paola Bergonzoni

(fonte: Facebook.com)


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