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“…c’erano cartacce ovunque alla stazione, colpa di un vento tiepido, bello. Un sole improvviso aveva acceso l’acciaio dei binari. E tutto brillava. C’erano bicchieri di plastica a terra, rotolavano prima in una direzione e poi in quella opposta, come se avessero un loro modo di misurare lo spazio e di segnare il tempo. Li guardavo. Mi chiedevo secondo quale legge della fisica il bicchiere a me più vicino poteva fare solo tre giri verso la fine del marciapiede del binario e non quattro o cinque. Pensavo che il jazz di Chet è così. Non è vorticoso: ondeggia lento; rotola senza una ragione; eppure non smetti di ascoltarlo; ti rapisce come ti rapiscono tutte le cose che ti lasciano sospeso.”
Da Cotroneo R., E nemmeno un rimpianto, Mondadori, 2011.[MORE]
Chi può narrare l’attesa eterna del mare meglio di un uomo che viene dal continente e che impara a conoscere la misura delle cose portandosi nei pressi del più grande dei limiti che incontra l’essere umano quando vuole espandersi ma anche del più profondo dei mondi che svela la verticalità della verità delle umane vicende? Roberto Cotroneo, saggista e scrittore piemontese di Alessandria, trapiantato a Roma, ci racconta nel suo ultimo libro (E nemmeno un rimpianto. Il segreto di Chet Baker, edizioni Mondadori) proprio il mare come incontro-limite al percorso conoscitivo di uno dei più grandi artisti del Novecento, il jazzista americano Chet Baker, uno dei massimi esponenti del cool jazz. Il racconto gioca su un meccanismo di finzione che in realtà funziona da chiave esplicativa del percorso intellettuale del trombettista americano. Trascinata da quella macchina potente che è lo star system con i suoi clichè attorno all’artista maledetto, l’idea che vi sia una qualche necessaria relazione tra vita artistica e morte disperata ha travolto il senso più profondo della ricostruzione critica della ricerca musicale di Chet Baker. Morto ad Amsterdam in circostanze misteriose, il suo corpo fu trovato ai piedi del Prins Hendrik Hotel nel maggio del 1988, Chet Baker ha finito per essere fagocitato nella macchina dello star system: la sua vita è stata descritta come un vorticoso precipitare verso il nulla. Violentemente tossicodipendente, ChetBaker aveva in effetti condotto una vita dissipata, ma la misura della sua arte non dipendeva per nulla dalla dimensione biologica e psicologica della sua esistenza “maledetta”. Era in realtà lenta e dolorosa ricerca di una trama ultima, il precipitato di un tortuoso percorso per emendare il suono della propria tromba dalle vanità personali, l’esatto contrario di un precipizio verso l’esplosione della propria individualità. La traiettoria impazzita e violenta della vita artistica e personale di Chet Baker è in realtà solo la traiettoria dritta e violenta della macchina comunicativa dello star system, tutt’altra è la carambola aspra e dolce delle note del musicista di Yale. Circolare come è la vita e ricorsiva come sono le onde del mare. E’ così che Roberto Cotroneo, con una finzione scenica, riscatta l’arte di Chat Baker, ne riscatta la vita stessa, per ristabilire giustizia nei confronti di un mondo troppo dritto nel condannare la memoria di un genio dell’arte all’immagine stereotipata dell’artista maledetto e disperato. Chet Baker nelle pagini di Cotroneo è un vecchio uomo che ha dato scacco al mondo e siede calmo tra gli ulivi della sua piccola casa di legno nel Salento, laddove il vento si fa luce e le onde del mare portano il segreto di una lontana saggezza. Ha sospeso il tormento della sua tromba, ha imparato ad inserirsi nei silenzi cosmici che riempiono il mondo. Vede il blu del cielo e ne scopre l’eterna immobilità e le vibrazioni minime delle galassie, come note singole della sua tromba nell’eterno silenzio dell’anima. E’il silenzio la chiave di lettura del libro di Cotroneo e il silenzio rotto da note misurate è anche alla base dell’arte di Chet Baker e, più in generale, del cool jazz, cioè di quell’epoca della musica afroamericana che succede al bebop, al contrario teso ad animare con forza espressiva la ribellione contro una società chiusa come quella americana degli anni trenta.
Sospeso tra il romanzo e il saggio, il libro di Roberto Cotroneo è un’ottima riflessione storiografica sul jazz, oltreché sulla cultura del Novecento. Può essere anche letto come misura del getto lungo del pensiero di Chet Baker, della sua capacità, contro il tempestoso virtuosismo del rivale storico Miles Davis, di prendere la tradizione e portarla nella contemporaneità. La figura dello spiritualista Gurdjieff, maestro armeno vissuto tra Ottocento e Novecento, e così importante per la poetica di Chet Baker, rappresenta l’ancoraggio con la tradizione del pensiero e assieme l’aggancio con la cultura universale, ché in fondo si esprime in suoni, anzi, che proprio nel suono trova la sua dimensione più alta.