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TORINO, 27 NOVEMBRE 2014 - Da qualche anno per le strade delle grandi città si notano delle persone che in silenzio, tra le macchine e i passanti, spingono il loro carretto e si affiancano ai bidoni dell՚immondizia.
Con fare esperto e senza preoccuparsi degli sguardi altrui estraggono un fil di ferro piegato, un appendino per abiti, e iniziano a “pescare” oggetti dai cassoni dei rifiuti. Si tratta di uomini e donne, extracomunitari o italiani, giovani o vecchi. Cercano qualcosa che noi abbiamo buttato via e che loro possano recuperare, riparare e poi vendere magari al mercato del balon il sabato mattina. Sono le vittime più visibili della crisi economica che attraversiamo, esseri umani costretti a questa umiliante operazione per crearsi un reddito seppur modesto. [MORE]
In realtà c՚è sempre stato chi si dedicava a tali operazioni, ma in questi tempi la categoria è cresciuta a dismisura, sopratutto a Torino, dove la desertificazione industriale e la disoccupazione delle periferie non lasciano alternative a chi non ha paracadute sociale, aiuto pubblico o rete famigliare.
Questa mattina ho parlato con uno di loro, incuriosito e un po՚ in imbarazzo gli ho chiesto cosa cercasse. Lui mi ha detto che va bene tutto, purchè ancora utilizzabile. Mi dice che è un operaio in pensione, vedovo, con l՚assegno dell՚Inps fa fatica e allora cerca di arrotondare. Lui è capace ad aggiustare tutto: biciclette, elettrodomestici; poi li vende o li tiene per se. Ha una bicicletta con un grosso portapacchi dove ripone ciò che trova.
Oggi va bene, ha appena recuperato un frullatore. “Non hai idea di quante cose ancora buone butta la gente!” mi dice. Raccoglie un tubo di ferro, i rottamai lo comprano, un quintale alla volta. Chiude il bidone, infila alla cintura il gancio come un pistolero del vecchio west e se ne va verso il prossimo cassone. Lo saluto e gli auguro buona fortuna.
“Già, la fortuna, quella mi sa che non mi ha mai trovato a me”.
Fonte Immagine ( Citynews Bolognatoday.stgy)
Maurizio Albavera