Golpe Borghese: una farsa grottesca o l'Italia fu ad un passo dalla dittatura militare?
Editoriale Lazio Roma

Golpe Borghese: una farsa grottesca o l'Italia fu ad un passo dalla dittatura militare?

giovedì 8 dicembre, 2011

FIRENZE, 08 DICEMBRE 2011- “Italiani, l'auspicata svolta politica, il lungamente atteso colpo di stato ha avuto luogo. La formula politica che per un venticinquennio ci ha governato, ha portato l'Italia sull'orlo dello sfacelo economico e morale, ha cessato di esistere. Nelle prossime ore con successivi bollettini, vi verranno indicati i provvedimenti più immediati e idonei a fronteggiare gli attuali squilibri della Nazione. [MORE]

Le Forze Armate, le Forze dell'Ordine, gli uomini più competenti e rappresentativi della Nazione sono con noi; mentre, dall'altro canto, possiamo assicurarvi che gli avversari più pericolosi, quelli, per intendersi, che volevano asservire la patria allo straniero, sono stati resi inoffensivi. Italiani, lo Stato che insieme creeremo, sarà un'Italia senza aggettivi né colori politici.

Essa avrà una sola bandiera: il nostro glorioso Tricolore! Soldati di Terra, di Mare e dell'Aria, Forze dell'Ordine, a voi affidiamo la difesa della Patria e il ristabilimento dell'ordine interno. Non saranno promulgate leggi speciali né verranno istituiti tribunali speciali; vi chiediamo solo di far rispettare le leggi vigenti. Da questo momento, nessuno potrà impunemente deridervi, offendervi, ferirvi nello spirito e nel corpo, uccidervi. Nel riconsegnare nelle vostre mani il glorioso Tricolore vi invitiamo a gridare il nostro prorompente inno d'amore: Italia! Italia! Viva l'Italia!”.

Il Principe Junio Valerio Borghese avrebbe dovuto pronunciare questo discorso agli italiani al termine del colpo di stato della notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970. Tuttavia nessun italiano dell’epoca udì queste parole perché l’Operazione “Tora Tora” (in omaggio all’attacco giapponese di Pearl Harbor del 1941) meglio nota come Golpe Borghese non fu mai attuata.

Chi era il Junio Valerio Borghese, il “Principe Nero”? Junio Valerio Scipione Ghezzo Marcantonio Maria Borghese nacque ad Artena nel 1906. Il suo noto e nobile casato annovera un Papa, una parentela con Napoleone Bonaparte e vari uomini politici e diplomatici dell’Italia post-unitaria. Nel 1922, attratto dalla vita militare, si arruola in Marina: la sua carriera è folgorante. Nel 1937 partecipa alla Guerra Civile Spagnola e viene decorato con la medaglia di Bronzo al valor militare. Durante la seconda guerra mondiale riuscì ad affondare due corazzate e un incrociatore della Marina britannica, regalando una delle poche vittorie militari del conflitto all’Italia di Mussolini. Dopo l’8 Settembre il Principe decise di continuare a combattere a fianco dell’alleato nazista, aderendo alla Repubblica Sociale italiana. Costituì la Xª Flottiglia Mas, che godette di una relativa autonomia militare rispetto ai tedeschi sia nella lotta antipartigiana che contro gli Alleati. Dopo la Liberazione, la protezione e l’appoggio dei servizi segreti americani, l’OSS, che sarebbe poi diventata CIA, gli evitarono l’ergastolo e permisero la sua scarcerazione. Nell’Italia repubblicana Borghese non si trovò a suo agio, divenne presidente onorario del MSI, ma si scontrò più volte con la linea del partito. Rimane un uomo militare poco avvezzo ai compromessi della politica. Il suo è un anticomunismo viscerale che non ripudia affatto la violenza.

In questo clima matura l'idea del presunto colpo di stato a lui attribuito. Sono gli anni della contestazione studentesca, delle proteste operaie e del cambiamento tangibile della società italiana. Anche l’estrema destra extraparlamentare è viva e vegeta. Gruppi come "Avanguardia Nazionale" di Stefano Delle Chiaie e "Ordine Nuovo" di Pino Rauti fanno proseliti in tutta la penisola. “Lisbona e Atene, ora Roma viene” è uno degli slogan dei neofascisti che animano molte piazze italiane, con evidente riferimento e ammirazione ai regimi militari e "fascistoidi" di Portogallo e Grecia. Tuttavia il progetto golpista di Borghese mirava, inevitabilmente, in alto; andando oltre qualche nostalgico mussoliniano o giovane di simpatie fasciste. Il piano includeva la compartecipazione dei vertici delle Forze Militari e dei Ministeri.

Il golpe era stato progettato con minuzia di particolari: dal 1969 erano stati formati gruppi clandestini armati in contatto con le Forze Armate. Il colpo di stato prevedeva l'occupazione del Ministero dell'Interno, del Ministero della Difesa, delle sedi RAI e dei mezzi di telecomunicazione (radio e telefoni) e la deportazione degli oppositori presenti nel Parlamento. Nel golpe era previsto anche il rapimento del capo dello stato Giuseppe Saragat e l'assassinio del capo della polizia Angelo Vicari. Il golpe iniziò ad essere attuato tra il 7 e l'8 dicembre 1970, con il concentramento a Roma di diverse centinaia di golpisti. All'interno del Ministero degli Interni avvenne anche la distribuzione di armi e munizioni ai cospiratori; il generale dell'Aeronautica militare italiana Giuseppe Casero e il colonnello Giuseppe Lo Vecchio presidiarono il Ministero della Difesa, mentre un gruppo armato del Corpo Forestale dello Stato, di 187 uomini, guidato dal maggiore Luciano Berti si diresse verso le sedi televisive della RAI. A Milano, invece, si organizzò l'occupazione di Sesto San Giovanni tramite un reparto al comando del colonnello dell'esercito Amos Spiazzi. Pioveva a dirotto nella Capitale ma il golpe era in avanzata fase di attuazione quando il Principe Borghese con una misteriosa telefonata a Remo Orlandini ordinò il dietro-front. Il colpo di stato era stato, inspiegabilmente, annullato. 

Un'ipotesi che si è fatta largo negli anni è che a bloccare l'operazione furono i servizi segreti americani che, avrebbero appoggiato il colpo di stato, solo se Giulio Andreotti avesse accettato di essere messo a capo del nuovo assetto politico. A quanto pare ci fu il rifiuto di Andreotti e, di conseguenza, il mancato appoggio degli USA al Golpe Borghese.

Gli italiani seppero del tentativo di golpe solo il 17 marzo del 1971, quando il quotidiano “Paese Sera” titolò "Piano eversivo contro la repubblica, scoperto piano di estrema destra". L’indignazione fu enorme e divamparono le polemiche sull’accaduto. Il giorno seguente il sostituto procuratore di Roma Claudio Vitalone firmò i mandati di arresto con l'accusa di usurpazione dei poteri dello stato e cospirazione a Remo Orlandini, Mario Rosa, Giovanni De Rosa, Sandro Saccucci, Giuseppe Lo Vecchio e Junio Valerio Borghese. Borghese si rifugiò in Spagna dove rimase fino alla morte, avvenuta a Cadice il 26 agosto 1974. Durante le indagini e negli anni successivi emersero elementi inquietanti che coinvolgevano con ruoli tutt’altro che limpidi i vertici del SID, Cosa Nostra (secondo le dichiarazioni di Tommaso Buscetta e di Antonio Calderone esisteva un “patto” tra golpisti e Mafia) e la loggia massonica P2 di Licio Gelli (incaricata di provvedere al rapimento di Saragat e all’uccisione del capo della Polizia Angelo Vicari).

Coinvolto anche Giulio Andreotti che nel 1974, quando ricopriva la carica di Ministro della Difesa, consegnò alla magistratura un dossier del SID in cui erano elencati i dettagli dell’operazione. Tuttavia nel 1991 si scoprì che la versione non era integrale. Molte personalità politiche e militari citate da Remo Orlandini furono volutamente omesse nel dossier da Andreotti perché ritenute “inessenziali” e “inutilmente nocive”. Secondo Amos Spiazzi, il golpe sarebbe stato in realtà un falso colpo di Stato usato come pretesto: immediatamente represso dalle forze governative tramite un piano chiamato Esigenza Triangolo, avrebbe consentito al governo democristiano di emanare leggi speciali.

Il 30 maggio 1977 ebbe inizio il processo per il golpe a 68 imputati. La vicenda giudiziaria si concluse in secondo grado in Corte d'Assise d'appello il 29 novembre 1984 con una complessiva assoluzione. I giudici disposero l'assoluzione di tutti i 46 imputati su cui gravava l'accusa di cospirazione politica"poichè il fatto non sussiste" aggiungendo con una velata ironia che l’intero caso altro non era che il frutto di un annoiato ed innocuo «conciliabolo di 4 o 5 sessantenni», limitandosi a ridurre le pene per detenzione e porto d’armi inflitte nella sentenza di primo grado. Il fatto che la colonna di 187 uomini del Maggiore Berti si trovasse, realmente, nei pressi della sede Rai di Roma fu solo una pura casualità conseguente a un'esercitazione.

Tutto qui. Il processo al presunto colpo di stato che rischiò di instaurare una dittatura in Italia con buona pace della libertà e della democrazia conquistate appena 25 anni prima, si è risolto con qualche condanna per porto abusivo d’arma da fuoco senza però riuscire a penetrare una spessa e inquietante coltre di misteri.

Davide Scaglione


 


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