Gli occhi tristi di una madre disperata
Chiesa e Società Calabria

Gli occhi tristi di una madre disperata

martedì 16 dicembre, 2014

 16 DICEMBRE 2014 - Amici lettori, oggi voglio dare voce ad una donna che ha trovato la forza e il coraggio nella sua disperazione di scrivermi una lettera. Una donna di soli 33 anni con due bambini e un marito disoccupato.[MORE]


Mi scrive: “ Carissimo don Francesco Cristofaro, fra qualche giorno è Natale. Quasi sempre il mio frigo contiene l’essenziale per i miei bimbi, ma forse neanche quello, perché è raro poter comprare un pezzo di carne, ed è ancor più raro potersi permettere un buon pesce. Nell’ultimo anno se mio marito ha lavorato un mese è già tanto. Abbiamo fatto l’albero di Natale, ma ogni addobbo di quell’albero mi dice tristezza. Abbiamo fatto il presepe e quando guardo Gesù Bambino, penso, vedi Gesù anche noi siamo poverelli. Per grazia di Dio ci sono i nostri genitori, che ci aiutano come possono. Mi chiedo: ma quanto può durare tutto questo? Quali certezze per il futuro? Quali speranze deve avere il cuore di una Madre disperata?”…


La lettera non finisce ma continua. Quante famiglie, però, sono in questa situazione? Tante, troppe, innumerevoli. Alla grotta di Betlemme sono accorsi i pastori, i magi, e qualche altra anima buona e ognuno ha portato ciò che aveva per riscaldare, nutrire Gesù, Maria e Giuseppe. Per questo Natale ognuno di noi si chieda, si interroghi seriamente: cosa posso fare io per alleviare la sofferenza di una madre e di un padre? Cosa posso fare per sfamare un affamato o vestire un povero. Di quale grande sciocchezza natalizia sono disposto a liberarmi per aiutare un povero. Chi ha due tuniche ne dia uno a chi non ne ha e chi ha un paio di scarpe in più faccia altrettanto. Servire il povero è amare Gesù due volte.


Ognuno si rivesti della sua responsabilità, chiesa, stato, istituzioni, politici. Non possiamo permettere che una mamma pianga perché non sa cosa dare da mangiare ai figli mentre in altri luoghi vengono imbanditi banchetti di lusso. Non possiamo permettere che uomini si tolgano la vita per la crisi mentre altri nelle poltrone d’oro si "scannano" nel dire chi è più bravo e chi fa di più e poi, forse ci si riduce a fare poco o niente. Magari sia la nostra una vera gara nella carità e nella solidarietà!


Amico, amica, per voi che piangete, oggi voglio elevare la mia preghiera a Gesù, per voi. Io ho una grande fede: Il Signore non abbandona. Ora vi racconto la leggenda pettirosso per invitarvi a non perdere mai la speranza. Gesù ci manderà sempre un cuore buono.


Nella stalla dove stavano dormendo Giuseppe, Maria e il piccolo Gesù, il fuoco si stava spegnendo. Presto ci furono soltanto alcune braci e alcuni tizzoni ormai spenti. Maria e Giuseppe sentivano freddo, ma erano così stanchi che si limitavano ad agitarsi inquieti nel sonno.
Nella stalla c'era un altro ospite: un uccellino marrone; era entrato nella stalla quando la fiamma era ancora viva; aveva visto il piccolo Gesù e i suoi genitori, ed era rimasto tanto contento che non si sarebbe allontanato da lì neppure per tutto l'oro del mondo.
Quando anche le ultime braci stavano per spegnersi, pensò al freddo che avrebbe patito il bambino messo a dormire sulla paglia della mangiatoia. Spiccò il volo e si posò su un coccio accanto all'ultima brace.
Cominciò a battere le ali facendo aria sui tizzoni perché riprendessero ad ardere. Il piccolo petto bruno dell'uccellino diventò rosso per il calore che proveniva dal fuoco, ma il pettirosso non abbandonò il suo posto. Scintille roventi volarono via dalla brace e gli bruciarono le piume del petto ma egli continuò a battere le ali finché alla fine tutti i tizzoni arsero in una bella fiammata.
Il piccolo cuore del pettirosso si gonfiò di orgoglio e di felicità quando il bambino Gesù sorrise sentendosi avvolto dal calore. Da allora il petto del pettirosso è rimasto rosso, come segno della sua devozione al bambino di Betlemme.

Don Francesco Cristofaro


www.donfrancescocristofaro.it


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