Gl'intrighi del "Salotto buono": Perché l'affaire Deiulemar non fa rumore come il caso Mps?
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TORRE DEL GRECO, 24 GENNAIO 2013 - In queste ore, a monopolizzare l’attenzione dei media, la deflagrazione del caso Monti dei Paschi di Siena, anticipato dagli articoli de “Il Fatto quotidiano”. In realtà, più che per la gravità della situazione in cui versa la più antica banca del mondo (costituita nel 1472), il caso sta montando soprattutto per l’accezione “politica” che si sta dando alla vicenda, evidenziando – ancora una volta - lo stretto legame esistente tra i poteri forti dei salotti finanziari e quelli politici (che tendono a diventare un unicum). In particolare colpisce, ma non stupisce, la tempistica dello scoppio del caso: proprio nel vivo della campagna elettorale.
Tuttavia, questo panegirico di parole è funzionale ad accendere lievemente l’attenzione su di un’altra vicenda finanziaria, fatta passare abbastanza in sordina dai canali d'informazione: Il crack della Deiulemar - compagnia di navigazione di Torre del Greco (in provincia di Napoli) - che ha coinvolto circa 13mila risparmiatori (di cui 10mila famiglie del luogo), i quali risultano aver investito nella società più di 720 milioni di euro. La gravità dei fatti ha fatto scattare un preoccupate parallelismo con un altro caso, il crack Parmalat, al punto tale da arrivare a definire la Deiulemar la "Parmalat del mare". Nonostante ciò, in tutti questi mesi, se ne è parlato poco.
Così, mentre ieri venivano fuori i retroscena connessi alla decisione di Giuseppe Mussari di dare le dimissioni dalla presidenza dell’Abi, allo stesso tempo il Tribunale di Torre Annunziata disponeva “il sequestro conservativo dei beni mobili e immobili degli armatori coinvolti nel fallimento della compagnia di navigazione Deiulemar fino al raggiungimento di un miliardo e 250 milioni di euro”. In particolare, il provvedimento di sequestro vede coinvolti l'ex amministratore unico, Michele Iuliano, Maria Luigia Lembo, Giovanna Iuliano, Giuseppe Lembo, Leonardo Lembo, Lucia Boccia, Angelo Della Gatta, Pasquale Della Gatta e Micaela Della Gatta. Inoltre, la sezione Fallimentare del Tribunale di Torre Annunziata ha fissato per il 21 febbraio prossimo l'udienza per "riconoscere e dichiarare il fallimento della società di fatto costituita tra i soggetti", raggiunti dal citato provvedimento di sequestro preventivo.
Per dovere di cronaca, prima di arrivare a questo ultimo atto in ordine di tempo, occorre fare una breve ricostruzione dei fatti. L' inchiesta - condotta dal procuratore uscente Diego Marmo, coordinata con i pm Emilio Prisco e Sergio Raimondi - prende il via il 13 febbraio 2012, a seguito di una denuncia presentata contro l’88enne Michele Iuliano - uno dei tre armatori che nel 1969 diede vita alla compagnia insieme a Giovanni Della Gatta e Giuseppe Lembo (Deiulemar è l’acronimo dei loro cognomi) – fascicolo in cui si configurano le ipotesi di reato di associazione per delinquere finalizzata alla appropriazione indebita.
Tuttavia, per comprendere fino in fondo questa storia, oltre a dover evidenziare il peculiare legame familiare che intercorre tra i tre soci (tutti originari di Torre del Greco, sono infatti cognati: Giuseppe Lembo e Giovanni Della Gatta hanno sposato, rispettivamente, Filomena e Luciana Boccia, mentre Michele Iuliano ha sposato Gina Lembo, sorella del Comandante Giuseppe Lembo), bisogna risalire alla tradizione del "carato", ovverosia un meccanismo di compartecipazione del rischio armatoriale, spesso esteso alla popolazione locale (questo spiega il perché del coinvolgimento delle circa 10mila famiglie di Torre del Greco, definite dal Comandante Lembo “mercato interno”) e disciplinato anche dal codice della navigazione. [MORE]
In questo modo, i tre soci riescono a mettere insieme il capitale necessario per l’acquisto del primo bastimento di 1.700 tonnellate di stazza lorda, denominato White Pony (successivamente “il cavallino bianco” è diventato l’emblema della società, raffigurato su ogni nave della flotta Deiulemar).
Tale sistema di “finanziamento”, alla fine degli anni '70-'80, si evolve prendendo la forma dell’emissione di prestiti obbligazionari. L’obiettivo della suddetta forma non era di “guadagnare, bensì risparmiare”, come aveva sottolineato lo stesso Comandante Lembo, spiegando - in questo modo - il perché non avessero optato per la quotazione in Borsa. Così, fra gli anni 80 e la fine del 2010, vengono emesse obbligazioni per un importo complessivo di circa 40 milioni di euro, con cedole annuali fra il 5,8% e il 7% netti.
Tutto sembra procedere senza troppi intoppi per questa grande compagnia dello shipping, fino a quando non si cominciano a far sentire i contraccolpi della crisi economica. Così, a metà gennaio dell’anno scorso, iniziano a circolare voci su una presunta instabilità dell’azienda. Voci che - a stretto giro - si rafforzano, portando alla luce soltanto la punta di un iceberg. Infatti, come aveva dichiarato Diego Marmo, all’indomani dell’apertura del fascicolo: “è un mare magnum che necessita maggiori approfondimenti, perché il caso interessa l’intera comunità torrese”, soprattutto alla luce “dell’esposto presentato dalla società (con cui il nuovo amministratore delegato aveva reso nota l’emissione, nel passato, di titoli obbligazionari irregolari, nda)”.
In sostanza, contemporaneamente ai certificati obbligazionari regolarmente emessi, l’impresa e i suoi amministratori avevano iniziato a rilasciare titoli simili ad obbligazioni al portatore, intestati alla società e da essa regolarmente onorati fino a poche settimane prime che scoppiasse il caso. Tuttavia, la suddetta emissione avveniva senza tener conto delle norme sulle emissioni e, sulla base di quanto emerso nel corso delle indagini, al di fuori dai bilanci della società stessa, visto che i certificati “irregolari” risultavano essere identici a quelli “regolari” sia come a scadenza (fine 2018) e che come intestazione e modalità di pagamento, al netto, (essendo a carico dell’emittente la trattenuta fiscale).
Così, andando in profondità nell'ambito di questo “mare magnum” da 860 milioni di debiti in cui si è inabissata la Deiulemar e che ha portato alla dichiarazione di fallimento il 2 maggio dello scorso anno dal Tribunale di Torre Annunziata, sono emerse una serie di operazioni sospette, trust e fiduciarie incastrate come scatole cinesi nei paradisi fiscali di Lussemburgo, Malta e l’isola portoghese di Madeira. Tutto ciò, al fine di evadere le tasse e nascondere il patrimonio.
Infatti, dalla documentazione in possesso di Antonella De Luca, Vincenzo Masciello e Giorgio Costantino, i tre curatori nominati dal giudice, congiuntamente alle indagini svolte dalla Guardia di Finanza di Napoli, al termine di una verifica fiscale iniziata nel giugno 2011, sta venendo fuori che la maggioranza dei versamenti degli obbligazionisti - qualche volta effettuati cash, altre volte direttamente sui conti personali degli amministratori - in realtà non sono mai passati nelle casse della Deiulemar. Il denaro, infatti, andava a finire su società diverse con sede legale in Lussemburgo (tra cui la società Dimaiolines). Queste, a loro volta, erano controllate da trust i cui beneficiari rimangono ancora sconosciuti.
In particolare, in base al rapporto delle Fiamme Gialle, l’inizio dello svuotamento del patrimonio di Deiulemar risale al 2005, quando la società madre trasferisce 11 navi alla costola Deiulemar Shipping, per un valore di circa 163 milioni di euro. Il passo successivo consiste nel proliferare delle fiduciarie – Poseidon International, Poseidon Finance, Sbf, Hamburg, Azzurro – e dei tre trust. Inoltre, secondo le ipotesi della Guardia di Finanza, elemento centrale di questo sistema di scatole cinesi, la società lussemburghese Lamain e una call option di vendita. Tra le diverse operazioni sospette emerse, l’acquisto nel 2009 di una nave per diversi milioni di dollari ( che ancora non è stata consegnata), da parte della Poseidon Shipping. Secondo gl’inquirenti, l’acquisto sarebbe stato condotto solo sulla carta al solito scopo di distratte rilevanti somme di denaro. Così, tutta questa architettura finanziaria serviva a frodare il fisco, pagando meno tasse, e ad occultare il patrimonio aziendale (stimato intorno ai 400-450 milioni di dollari).
Ed anche in questo caso, come sta avvenendo per Mps, sorgono dubbi sull’azione degl’organi preposti al controllo e alla vigilanza, quali Consob e Bankitalia, oltre alla società di revisione KPMG che, nonostante fosse a conoscenza delle rilevanti e irregolari operazioni fuori bilancio attraverso l’emissione di obbligazioni, non ha proceduto nel denunciare l’anomalia.
Così, in attesa di vedere come si evolverà giudiziariamente la vicenda, rimane il punto interrogativo posto nel titolo della suddetta disanima: Perché l’affaire Deiulemar non fa rumore come il caso Mps? Forse perché esistono risparmiatori di serie A e quelli di serie B (e così, i13mila risparmiatori coinvolti, verrebbero ritenuti tali forse perché, in larga parte, concentrati in una circoscritta località del Sud) e non essendoci stato alcun intervento statale, non merita molta attenzione? Forse perché il crack Deiulemar non si presta ad essere strumentalizzato per fini politici (creando un polverone nei confronti di alcuni dei protagonisti delle prossime elezioni), o – infine - perché, continuando a scavare, si teme di andare a toccare altri tipi di poteri forti?
Ai posteri l’ardua sentenza.
(fonte: Il Fatto Quotidiano, La Repubblica, linkiesta.it)
Rosy Merola