Fidaf. Il mito americano dello studente-atleta
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C’è chi lo sogna per tutta la vita. E chi, invece, questo sogno decide di viverlo. In tutti i casi, meglio partire attrezzati e sapendo bene a cosa si va incontro. Perché la strada per arrivare all’eccellenza è tutt’altro che in discesa e nella vita nessuno regala mai niente!
Sembra un hotel a 5 stelle la cui clientela è composta da adolescenti dalle dimensioni fisiche impressionanti. C’è musica black ovunque ed a tutte le ore, i corridoi sono pieni di schermi che trasmettono gli highlight della squadra e ci sono teche sparse in giro con l’ultimo modello della divisa da gioco della scuola, declinato in varie fogge e colori.
Uno staff di nutrizionisti cura i pasti che sono 3 al giorno, cucinati espressi, ovunque poi ci sono punti ristoro dove prelevare snack a basso contenuto di sale o zucchero. C’è uno staff medico sempre a disposizione ed un centro fisioterapico con camera iperbarica e piscina.
Gli spogliatoi sono enormi, come i loro utilizzatori, attrezzati con sedili in pelle, iPads, soffice moquette; ogni giovane ha una poltrona con annesso “armadietto” pieno di vestiti e scarpe di ogni genere, che vengono regolarmente lavati e rimessi al loro posto, pronti per un nuovo utilizzo.
All’ultimo piano del complesso, c’è l’area relax per gli atleti, con videogiochi, biliardi, biliardini, televisori e persino una sala dove creare ed incidere la propria musica.
E poi ci sono le aree dedicate alla pratica sportiva... e vi lascio solo immaginare le dimensioni della palestra e la moltitudine di attrezzatura, da quella più imponente e pesante agli ultimi ritrovati in fatto di allenamento dalle strane forme. C’è un campo coperto da 150 yards, ovviamente con tanto di megaschermi ed aria condizionata, una serie di altri campi in soffice erbetta con torri per le riprese video ed una miriade di slitte, chutes, dummies, etc., tutti fiammanti come se fossero usciti dalla fabbrica ieri.
Gli abitanti stanziali del posto appartengono a tre categorie. La prima, sono gli atleti, i “fortunati”; poi ci sono gli allenatori della squadra, quelli che veramente non lasciano mai questo posto, con al seguito inservienti, attendenti, GAs. Hanno uffici con vetrate giganti che affacciano sui campi, ed usufruiscono di ogni strumento tecnologico mai inventato per la gestione della pratica del football. E poi ci sono gli altri, chi cucina, pulisce, riapre, fotocopia, compila, medica, etc...
Uno spettacolo davvero impressionate di risorse dedicate allo sport e logistica tipica degli americani.
Chi dei nostri giovani atleti non vorrebbe venire qui a fare la bella vita?
Basta essere fisicati, parlare abbastanza bene inglese, magari conoscere l’allenatore giusto ed il gioco sembra fatto!
Tuttavia, se c’è una lezione della vita che non va mai fuori moda è che nessuno regala mai niente.
Già dopo breve tempo trascorso nella quotidianità degli abitatori del posto, ci si rende conto che chi ha veramente “costruito” la struttura, con il proprio sudore, la propria sofferenza, letteralmente, il proprio sangue, sono proprio gli atleti.
Sveglia alle 5:00 tutte le mattine, tranne il lunedì, arrivo al centro sportivo per le 06:00. Poi ci si cambia, si indossano i pantaloni da football e le protezioni (le linee mettono pure sempre due ginocchiere) poi colazione e meeting alle 7:00, per ca. tre quarti d’ora.
Chi ha bisogno, va a fare le fasciature ed alle 8:15 tutti in campo.
Si lavora in scioltezza con i position coaches sul l’installazione degli schemi, poi alle 8:45 inizia l’allenamento vero e proprio.
150 atleti attrezzati di tutto punto ed agguerriti perché i posti a disposizione per scendere in campo sono solo una trentina e qui molti vengono per giocarsi un futuro da professionista del football, per scappare da povertà, disagio, discriminazione, abbandono.
Ed i risultati contano; gli allenatori vivono sempre con la spada di Damocle sul capo, con le valigie vicino alla porta. Ed i risultati passano ineluttabilmente per le mani, le gambe, i muscoli e le ossa degli atleti; attraverso il loro spirito indomabile, la loro determinazione, resilienza, coraggio.
Due ore e più di incessanti corse, collisioni, scatti, placcaggi, blocchi. In questa stagione tardo-estiva, la temperatura, nonostante sia presto la mattina, si attesta intorno ai trenta gradi, che con casco, paraspalle, e protezioni complete equivalgono almeno a 40 percepiti.
Verso le undici, stanchi e sudati, gli atleti si congedano dal campo; chi necessita, va a fare fisioterapia, gli altri vanno a pranzo. Molti lo mettono in appositi sacchetti e se lo portano via; non c’è tempo, alle 12:30 bisogna essere in classe.
Eh sì, perché nel binomio, “studente” viene prima di “atleta” e se non si hanno buoni voti la NCAA non ti fa scendere in campo per le partite.
Finalmente, alle19:00 finiscono le lezioni, si cena in mensa o qui al centro sportivo e poi si può tornare nei dormitori studenteschi, molto belli ed accoglienti anche questi.
Certo bisogna studiare per l’indomani, per il corso di laurea ed anche per la prossima partita... e poi, ad un certo momento, si deve anche riposare, perché alle 5:00 suonerà di nuovo la sveglia.
Essere uno “student/athlete” in un college di Prima Divisione richiede una forza morale non comune; dalle brevi righe scritte in precedenza vi potete fare un’idea abbastanza chiara delle qualità necessarie ad affrontare una scelta del genere, una scelta, bisogna ricordarlo, che vale alcune centinaia di migliaia di dollari fra tasse universitarie, vitto ed alloggio, libri, vestiti, etc... e che alla fine del percorso vale soprattutto una laurea presso alcuni dei più prestigiosi atenei del mondo.
Perciò, giovani atleti con il sogno di varcare l’oceano, pensateci bene, preparatevi fisicamente e mentalmente al percorso che vi attende.
Noi della Fidaf saremo al vostro fianco, perché più delle medaglie, dei titoli, dei trofei in bacheca, siete voi il nostro fine ultimo. Come dice Coach Harbaugh, capo allenatore dell’Università di Michigan: “Se sarò stato un buon allenatore, non sarà evidente dal numero di giocatori che da qui andranno nella NFL, ma dal tipo di persone che da qui ai prossimi anni saranno diventati, buoni mariti, padri, lavoratori”