Diritti Umani 2013, l'anno nero della Turchia
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Diritti Umani 2013, l'anno nero della Turchia

mercoledì 22 gennaio, 2014

 ISTANBUL, 22 GENNAIO 2014 – L'Osservatorio Internazionale per i Diritti Umani ha dichiarato, in una relazione presentata in data 21 gennaio, che il governo turco ha dimostrato e continua a dimostrare una crescente intolleranza verso l'opposizione politica, le proteste pubbliche e le critiche dei media. Tra le accuse più pesanti, le repressioni delle proteste di massa, la museruola ai media, i processi iniqui e un sistema di giustizia penale decisamente lacunoso. Emma Sinclair-Webb, ricercatrice dell'organizzazione per la Turchia, ha anche messo a confronto il giro di vita delle proteste con gli sforzi di Ankara di raggiungere la pace nella questione curda, affermando che i secondi risulterebbero pressoché inutili, se il governo non garantisce la difesa del diritto di tutti all'associazionismo e alla libertà di parola.

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Il rapporto di 667 pagine, presentato a Berlino, esamina la situazione dei diritti umani in oltre 90 paesi. Si va giù duro sulla Turchia, ma si elogiano anche i passi positivi, all'annuncio, nel 2013, di un “pacchetto di democratizzazione” del paese, che prevede l'annullamento del divieto di indossare il velo nei luoghi di pubblico impiego e l'abbassamento della soglia elettorale – ora al 10% - che ha impedito per anni a partiti minori di accedere al Parlamento.

Gli episodi di Gezi però ne fanno naturalmente da padrone, anche per quanto riguarda le pressioni esercitate sui media, che hanno reso la copertura delle notizie parziale o in diversi casi del tutto insufficiente. Ciò ha anche fatto emergere il problema delle testate turche a rendersi indipendenti e a non entrare in conflitto con gli interessi del governo. Nel corso del 2013, decine di operatori dei media, tra cui figure di rilievo, sono stati immediatamente licenziati perché “non in linea” con l'operato del governo. Non da sottovalutare i casi di giornalisti che per le medesime ragioni sono stati arrestati e continuano a stare in carcere, e la volontà di modificare alcune leggi per limitare la libertà di parola.

Il rapporto tocca anche i processi sommari effettuati ai danni di manifestanti, politici e avvocati, che hanno subito una detenzione – troppo – preventiva e lunga.

Foto: hurriyetdailynews.com

Dino Buonaiuto (Corrispondente dalla Turchia)


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