Diabete: dagli annali Amd 2010, la fotografia italiana
Cronaca Lombardia

Diabete: dagli annali Amd 2010, la fotografia italiana

lunedì 25 ottobre, 2010

Associazione Medici Diabetologi (AMD) presenta i dati degli “Annali AMD 2010” sulla qualità dell’assistenza diabetologica in Italia – Promosso a pieni voti il livello delle cure in Italia

MILANO- Il 55% delle persone con diabete è maschio; il 56,6% ha oltre 65 anni, il 35,4% tra 45 e 65, ma l’8% ne ha meno di 45 e se consideriamo la fascia di età sino a 55 anni, questa percentuale sale al 18,8%: quasi 1 persona con diabete su 5 ha oggiAggiungi un appuntamento per oggi meno di 55 anni. Il 91,9% è colpito da diabete di tipo 2 e, tra questi, 1 su dieci ha tra i 45 e i 55 anni, ma già 4 su cento meno di 45, segno che la malattia una volta definita “diabete senile” è sempre più giovane.[MORE]
I due terzi dei soggetti con diabete di tipo 2 sono obesi (BMI superiore a 27) e solo meno del 20% risulta normopeso. Invece, nel diabete di tipo 1 l’obesità riguarda circa un quarto dei pazienti.
Poco meno di un terzo delle persone con diabete tipo 1 (28,9%), e il 17,3% di quelli con tipo 2, è fumatore. Il dato è particolarmente allarmante alla luce del forte rischio di complicanze microvascolari correlate al fumo di sigaretta, soprattutto nel diabete di tipo 1.
Questi alcuni dei dati contenuti negli Annali AMD 2010, il rapporto nazionale sulla qualità dell’assistenza offerta nei centri di diabetologia redatto annualmente dall’Associazione Medici Diabetologi (AMD). Giunto alla quinta edizione “che può essere indicata senza falsa enfasi come l’edizione della maturità grazie al grande coinvolgimento raggiunto”, commenta Giacomo Vespasiani, Coordinatore dell’equipe che dal 2006 si occupa di analizzare i dati raccolti dalle cartelle cliniche delle persone con diabete, quest’anno 439.748, assistite in 236 centri dislocati in tutte le Regioni italiane, il rapporto sarà presentato al V Congresso Nazionale del Centro Studi e Ricerche - Fondazione AMD, in programma a Firenze dal 18 al 20 novembre prossimi.
“Se consideriamo che oggiAggiungi un appuntamento per oggi nel nostro Paese le persone con diabete di cui si ha conoscenza sono circa 3.000.000, a cui dobbiamo aggiungerne oltre 1 milione che lo sono senza saperlo, possiamo affermare che gli Annali AMD, analizzando dati reali di circa 1 sesto degli italiani che soffrono di questa malattia, tracciano un’immagine realmente significativa della efficienza e dell’efficacia del nostro operato”, dice Sandro Gentile, Presidente AMD.
Efficacia ed efficienza della qualità della cura nei Centri di diabetologia sono da quest’anno, per la prima volta, misurati con un indice - lo score Q (Qualità) - appositamente ideato da Antonio Nicolucci e dal gruppo di lavoro del Consorzio Mario Negri Sud, che sin dall’inizio collabora con AMD al progetto Annali. “Il progetto Annali AMD ha già ricevuto grande riconoscimento internazionale, perché costituisce un database di informazioni inestimabile, che solo Paesi come la Svezia, Israele e in parte gli Stati Uniti, cioè l’elite della sanità mondiale, posseggono in forme assimilabili”, prosegue Gentile. “L’indice o score Q rappresenta la ciliegina sulla torta; è un altro fondamentale tassello che si aggiunge al nostro progetto, un ‘super-indicatore’ già validato da importanti pubblicazioni scientifiche”, interviene Carlo Giorda, Vicepresidente AMD. “Si tratta di una misura sintetica che valuta da un punto di vista qualitativo l’efficienza delle cure e dell’assistenza prestate, e conseguentemente l’efficacia nel prevenire le complicanze tipiche del diabete, dall’infarto all’ictus, ai disturbi alla vascolarizzazione, alla mortalità”, spiega.
L’indice Q viene calcolato assegnando un punteggio sia alle modalità assistenziali - effettuazione delle misurazioni di emoglobina glicosilata (HbA1c, il parametro che determina il livello di controllo del diabete), pressione arteriosa, profilo lipidico, microalbuminuria - sia ai risultati ottenuti dalla cura ossia il mantenimento di HbA1c al di sotto dell’8%, della pressione inferiore a 140/90 mmHg, del colesterolo LDL a meno di 130 mg/dl, all’impiego dei farmaci adatti alla protezione renale in caso di microalbuminuria.
Il punteggio varia da 0 a 40, con tre classi: inferiore a 15, fra 15 e 25, maggiore di 25; un punteggio inferiore a 15 si associa a un eccesso di rischio di complicanze di circa l’80%, mentre un punteggio fra 15 e 25 si associa ad un rischio più alto del 20%.
“L’indice Q dell’assistenza italiana risulta positivo: 24,9 nel diabete tipo 1, con i centri più efficienti al 29,1, e 24,3 con l’elite al 27,5 nel diabete di tipo 2”, dice Giorda.
“Tuttavia, l’indice Q non è un valore da utilizzare per stilare classifiche tra chi è più bravo e chi lo è meno - aggiunge Gentile - il vero obiettivo, comune a tutto il progetto Annali, è quello di ottenere indicazioni che permettano ai singoli Centri di individuare punti di miglioramento. D’altronde in questi anni abbiamo potuto misurare che il solo fatto che un Centro si impegni nella raccolta dei dati, già di per sé migliora la sua performance assistenziale."
Ma vediamoli, più nel dettaglio, i risultati principali.
Molto buona, superiore al 90% (94,7% nel tipo 1 e 92,3% nel tipo 2), e con un significativo miglioramento rispetto all’84% della prima rilevazione del 2006, la percentuale di persone con diabete che effettua la misurazione, almeno una volta l’anno, dell’emoglobina glicosilata. Inoltre, anche il grado complessivo di controllo della malattia nelle persone con diabete assistite dai centri italiani è buono, pur con la necessità di migliorare ulteriormente l’intervento terapeutico: l’HbA1c risulta, infatti, inferiore al 7% in un quarto dei pazienti con diabete di tipo 1 e in quasi la metà (44%) di quelli con tipo 2. Secondo varie linee guida, 7% è l’obiettivo da raggiungere per prevenire sia le complicanze microvascolari della malattia diabetica (o dei piccoli vasi arteriosi, come la retinopatia che porta danni alla vista, la nefropatia che compromette la funzione renale, la neuropatia periferica che favorisce le lesioni al piede) sia quelle macrovascolari (o dei grossi vasi arteriosi, con aumentato rischio di arteriosclerosi e quindi infarto, ictus). Comunque, il valore medio dell’emoglobina glicosilata italiano è migliore di quello che si rileva in simili analisi compiute negli Stati Uniti: autorevolissime rilevazioni come l’indagine NHANES promossa dal NIH (l’Istituto di sanità del governo americano) o i dati della NCQA (National Committee for Quality Assurance) riportano che le persone con diabete statunitensi hanno HbA1c superiore al 9,5% in percentuali dal 20 al 40% e superiore all’8% in percentuali tra il 40 e il 50%.
Promossa quindi a pieni voti, nel complesso, la qualità dell’assistenza fornita nel nostro Paese, anche se esistono ulteriori margini di miglioramento. “L’emoglobina glicosilata dovrebbe essere misurata almeno una volta l’anno a tutte le persone con diabete e anche i dati sulla valutazione del profilo lipidico e della pressione arteriosa, oggiAggiungi un appuntamento per oggi effettuati nel 73% e nel 79% dei casi rispettivamente, indicano la necessità di interventi più incisivi, soprattutto verso questi importanti fattori di rischio cardiovascolare. Infatti, solo il 42% delle persone con diabete italiane presenta valori di colesterolo LDL inferiori a 100 mg/dl”, dice ancora Vespasiani.
Infine, un’occhiata a un aspetto fondamentale che proprio grazie agli Annali AMD è emerso recentemente, in linea con le più aggiornate evidenze scientifiche che sottolineano l’importanza di un intervento tempestivo sul controllo della malattia e sui fattori di rischio cardiovascolare. Nel 2009, anno cui si riferiscono i dati analizzati in questa edizione, sono state registrate 46.513 persone con diabete di tipo 2 (l’11,2% del totale) che si recavano per la prima volta in un Centro di diabetologia per una visita. “Il 57% riguardava pazienti con una durata di malattia inferiore a 2 anni, ma oltre un quarto era diabetico da più di cinque anni. In particolare, nelle persone con meno di due anni di malattia, il valore di HbA1c era superiore a 8% nel 38% dei casi è il 12% delle persone visitate ha dovuto essere messa in cura sin dalla prima visita con l’insulina”, prosegue Vespasiani. “Soprattutto – interviene Giorda – queste persone presentavano un profilo di rischio cardiovascolare elevato: pressione del sangue oltre i valori di 140/90 mmHg nel 58,6% dei casi, colesterolo “cattivo” LDL superiore a 130 mg/dl nel 34,7%. E’ evidente che qualche cosa, nel sistema odierno di gestione della malattia diabetica non funzioni ancora a dovere.”
Per queste ragioni AMD ha dato vita al progetto SUBITO!, che si pone un obiettivo culturale oltre che clinico: migliorare il compenso metabolico della persona con diabete, cioè riportare i valori della glicemia alla normalità e mantenerli costantemente sotto controllo, sin dall’esordio della malattia o comunque alla sua diagnosi, al fine di ridurre il peso delle complicanze cardiovascolari. “Se cominciassimo a trattare in maniera rigorosa la malattia almeno 5 anni prima - conclude Giorda - secondo i dati dello studio STENO-2 potremmo ridurre le complicanze cardiovascolari di oltre il 40%.”


Alcuni numeri del diabete
•In Italia, le persone con diabete rappresentano ormai il 7% della popolazione, oltre 4.000.000 di concittadini.
•I costi sono raddoppiati in 20 anni: nel 1998, il diabete pesava sulle casse dello Stato per circa 5 miliardi di euro, pari al 6,7% della spesa totale per la sanità; oggi le stime parlano di 11 miliardi di euro, circa il 10% della spesa sanitaria.


•Nel nostro Paese, ogni anno:
- 75.000 persone con diabete subiscono un infarto,
- 18.000 un ictus,
- 20.000 vanno incontro a insufficienza renale cronica,
- 5.000 patiscono l’amputazione degli arti inferiori,
- 18.000 muoiono.
 


Autore
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