Così è (se gli pare). Di qua e di là dalle sbarre
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Così è (se gli pare). Di qua e di là dalle sbarre

giovedì 8 agosto, 2013

ROMA, 8 AGOSTO 2013 - La sentenza Berlusconi risveglia l’interesse nazionale per la condizione carceraria in Italia. L’Europa ci bacchetta ormai da anni per la situazione drammatica dei nostri penitenziari. Come diminuire la popolazione carceraria? Il problema riguarda tutti noi, la soluzione richiede il coinvolgimento di ogni singolo cittadino. La cultura, il lavoro e l’istruzione sono le armi a disposizione della nostra società nella lotta alla delinquenza. Ma per chi è dietro le sbarre? Per chi è appena uscito o si accinge ad uscire? È difficile garantire un futuro ad un cittadino ritrovato, quando il domani è un’ incognita per tutti.[MORE]

«A questo punto, me ne vado in galera », così ha detto Silvio Berlusconi dopo la sentenza della Cassazione. Niente servizi sociali. Niente arresti domiciliari, ecco cosa preferisce il Cavaliere. Qual è la situazione del sistema penitenziario italiano?

Sarà interessante vedere, a quel che dice Daniela Santanché, cosa ne penserà Silvio Berlusconi della situazione carceraria italiana. Non credo proprio che il leader del Popolo delle Libertà andrà ad ingrossare le fila dei criminali ospitati nei penitenziari nazionali. Comunque aldilà di ciò che sarà del Cavaliere, il sistema penitenziario italiano è in crisi ormai da anni. L’indulto di alcuni anni fa non ha affatto risolto il problema, ha messo una toppa che non ha arginato la falla. Sovraffollamento e poche eccellenze, che dovrebbero essere la normalità invece che eccezioni, sono i principali problemi. La mancanza di possibilità di reinserimento, di rieducazione al fine di un riassorbimento del detenuto nel tessuto sociale eleva enormemente la percentuale di recidivi non favorendo la diminuzione della popolazione carceraria. Il sovraffollamento poi non si risolve liberando i detenuti, ma creando nuovi istituti e lavorando su pene alternative al carcere.

Approvato dalla Camera il decreto «svuota carceri». Il testo è passato con 317 voti favorevoli e 106 contrari: ora il provvedimento andrà all'esame del Senato . Si sono opposti Fratelli d'Italia, M5S e Lega. È una vera e propria riforma strutturale che cerca anche di dare una soluzione all’emergenza sovraffollamento delle carceri in Italia. Il testo prevede sconti di pena anticipati, benefici ai recidivi, percorsi ad hoc per il recupero post detenzione. Il Paese necessita di questa riforma?

Non conosco nel dettaglio il decreto ma ho visitato diverse carceri e credo che ci sia sicuramente bisogno di sviluppare percorsi di recupero post detenzione. Non credo negli sconti di pena, e nei benefici, mancano invece le strutture detentive, i laboratori, le officine. Manca, come sempre in Italia ( e non dimentichiamoci che anche il sistema carcerario con i suoi detenuti è parte integrante della nostra nazione), la prospettiva. Le alternative al carcere potrebbero essere la soluzione per alcuni tipi di criminali: gli arresti domiciliari, l’assegnazione ai servizi sociali e ai lavori socialmente utili possono essere, con specifiche valutazioni caso per caso, preferibili alla detenzione in istituto. Può sembrare semplicistico, ma ritengo che sia più corretto lavorare sul modo in cui gli anni di reclusione vengono spesi, che su un taglio degli anni di carcere da scontare. Pene certe, severe, ma con reali possibilità di integrazione una volta pagato interamente il proprio debito con la società.

Sul finire del luglio scorso il ministro Annamaria Cancellieri ha incontrato una delegazione di detenuti nel carcere di Sollicciano a Firenze. Il sovraffollamento è uno dei problemi sentiti dai detenuti nei penitenziari italiani così come la necessità di lavorare mentre si è "dietro le sbarre”. La possibilità di avere un lavoro all'interno del carcere è fondamentale per i detenuti. «Non possiamo farlo dappertutto, bensì in realtà dove ci sono le condizioni, come a Firenze e in Toscana». Dovrebbe essere esteso in tutta Italia e non solo in alcune città e/o regioni, non credi?

Sono fermamente convinto che una persona ben inserita nella comunità, con un lavoro, magari con un sogno, abbia maggiori possibilità di seguire un’esistenza retta e onesta di colui che si trova, si sente ai margini della società. Creare un laboratorio teatrale, un panificio, un ristorante, una sartoria dentro un istituto penitenziario non significa intrattenere i detenuti, sollazzarli, significa invece fornire loro i mezzi per sentirsi ancora parte di una comunità, sentirsi esseri umani fra esseri umani. È un investimento sulla nostra sicurezza, sul nostro futuro di cittadini e di società civile.

Riuscire a lavorare all’interno delle carceri risulta essere anche una speranza per il reinserimento nella società al momento di uscire a fine pena. Oggi non è semplicissimo il reinserimento nella società civile; sempre di più sono le persone che, spinte dai pregiudizi e non solo nei confronti dei detenuti, non danno loro la possibilità di cominciare una nuova vita.

Certamente il pregiudizio e la fedina penale non immacolata non aiutano, ma anche la crisi attuale ci mette del suo. Bisogna capire che se la disoccupazione investe un numero sempre crescente di italiani, non può non accanirsi anche su chi ha ritrovato la libertà dopo un periodo di detenzione e ambisce a trovare un lavoro onesto. E questa è la ragione per cui risulta ancora più importante arrivare ad offrire percorsi di studio e di avviamento al lavoro a chi deve trascorrere anni “dietro le sbarre”. È fondamentale non isolare chi esce da una esperienza carceraria, l’isolamento crea solo anomalie, comportamenti deviati. La lotta all’isolamento deve necessariamente cominciare all’interno degli istituti penitenziari, con regolari incontri con assistenti sociali e psicologi, con contatti con familiari e conoscenti quando e se possibile, e con un insieme di attività miranti al recupero del cittadino.

Carcerati al lavoro? Un modo per rendere più efficace la reintroduzione sociale dei detenuti; ma anche per risolvere il problema del sovraffollamento. Da giorni in regioni come il Veneto è più facile, grazie alla legge regionale, approvata lo scorso 28 giugno da Palazzo Ferro Fini. L’agricoltura sociale è solo un esempio. Quali altri mestieri si potrebbero consigliare ai carcerati e perché?

In Italia, per quanto la situazione sia drammatica, esistono penitenziari “modello” dai quali trarre ispirazione per la creazione di percorsi di avviamento al lavoro o di laboratori di vario genere. È importante lavorare sull’autostima delle persone, nutrire la curiosità dei carcerati, favorire l’introspezione da un lato e la socializzazione dall’altro, aiutare lo sviluppo delle predisposizioni naturali e dei talenti. Tante volte chi finisce “nei guai” proviene da situazioni culturalmente povere oppure da situazioni “normali” che si sono drammaticamente deteriorate al punto di indurre la persona a delinquere. E allora diventa fondamentale riuscire a trasmettere fiducia nel futuro, far capire che c’è ancora una speranza. Il primo articolo della nostra Costituzione ci dice che il lavoro ci identifica e ci da dignità, ecco la strada da seguire per migliorarci come singoli cittadini e come nazione. Il valore di un laboratorio teatrale, o di ceramica, di taglio e cucito, o sulle tecniche di panificazione va aldilà del costo di allestimento. È una scommessa già vinta con il futuro e questo non vale solo in carcere, ma soprattutto fuori. Lo studio, il lavoro, la cultura sono i mezzi migliori per ostacolare il dilagare della criminalità. Prevenzione e recupero devono andare di pari passo. Quando la politica si occuperà finalmente del problema della disoccupazione, il reinserimento degli ex-detenuti seguirà a ruota, la condizione delle carceri migliorerà un po’ anche per “osmosi”. C’è molto da fare di qua e di là dalle sbarre, c’è bisogno di un impegno comune.

Alessandro Bertolucci e Giulia Farneti

 


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