Conversazione all'Uniter di Lamezia sul legame tra mondo classico e canzoni
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LAMEZIA TERME (CZ) 1 FEBBRAIO - «La canzone è patrimonio immateriale dell’umanità: ecco perché merita una maggiore attenzione anche alla luce di una riflessione letteraria». Questo l’esordio della conversazione dello studioso lametino Francesco Polopoli tenuta nel corso di un incontro promosso dall’Università della Terza Età di Lamezia Terme, presieduta da Italo Leone. Dopo la breve introduzione della vicepresidente dell’ Uniter Costanza Falvo D’Urso, il professore Francesco Polopoli ha illustrato la correlazione tra la canzone e il mondo classico da cui la canzone attinge le sue antiche radici leggibili nella cultura come espressione di presente e passato in un amplesso inscindibile. Dopo aver premesso che l’arte trova la sua naturale collocazione nel mondo mediterraneo che rimanda alla vita antica, lo studioso Polopoli ha messo in luce affinità comuni e somiglianze che legano il presente al passato nelle più svariate forme espressive come il canto e la poesia risalenti al tempo di Omero, il padre dei grandi poemi, Iliade ed Odissea. [MORE]
La prosa invece come forma di narrazione si rinviene nella nenia, nella filastrocca ma anch’essa riconduce al contesto greco e latino. Lo studioso Polopoli, profondo conoscitore del latino, considerata una lingua morta, e del greco, mediante un’oculata indagine letteraria, ha scoperto che i grandi cantautori non fanno altro che ripresentare temi antichi su scale musicali sempre più aperte alle sperimentazioni a volte con consapevolezza, essendo in possesso di una solida preparazione classica, altre volte a livello inconscio essendo presente nel nostro Dna il patrimonio culturale antico trasmesso dai nostri avi. « Ogni avanguardia - ha affermato Polopoli - non è mai orfana di memorie . Battisti, Battiato, Gaber, Vecchioni bastano a testimoniare i geni ed il genio di una secolare creatività che non tradisce mai le tradizioni».
Ecco il richiamo alla tradizione classica di molte canzoni italiane molto gettonate come “ Ma che freddo fa” cantata da Nada al festival di Sanremo nel 1969 che ci riporta ad un frammento di Mimnermo nelle strofe “ Cos’è la vita senza l’amore, è solo un albero che foglie non ha più”. Per non parlare de “ Alla fiera dell’est” di Branduardi, “ Papaveri e papere”,cantata da Nilla Pizzi, Amarabà cicicocò, “ Mi ritorni in mente” di Lucio Battisti che rimanda a Virglio, “Geordie” di De Andrè che ricorda Catullo, “ Malafemmina” di Totò” che si connette a Catullo ( Odi ed amo), alle canzoni di Roberto Vecchioni, di Giorgio Gaber che rispettivamente ci ricordano Giovenale e Properzio. «Il canto - ha concluso Polopoli - concorre allo scandaglio dell’animo. Non aveva ragione D’Annunzio a classificare negli Alcyones il genere umano come stirpe canora? Radice e canto, l’essenziale, se è invisibile agli occhi, è udibile almeno alle orecchie».
Foto: Francesco Polopoli
Lina Latelli Nucifero