Caso Regeni, cosa ha detto Luigi Manconi sulla gestione italiana della vicenda
Politica Lazio

Caso Regeni, cosa ha detto Luigi Manconi sulla gestione italiana della vicenda

mercoledì 23 agosto, 2017

ROMA, 23 AGOSTO - Il caso Regeni tiene ormai banco da mesi grazie alla stampa e ad una parte dell’opinione pubblica che non ha smesso di sperare ed anzi continua a premere per portare giustizia alla famiglia del giovane ricercatore friulano torturato in circostanze ancora purtroppo oscure. Destinate a far discutere sono le dichiarazioni di Luigi Manconi, raccolte da HuffPost con Pietro Salvatori.[MORE]

Il presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato, da sempre in prima linea sulla vicenda, ha espresso con molta amarezza le proprie convinzioni su una gestione tutt’altro che ottimale dell’Italia con i governi Renzi e Gentiloni. Secondo Manconi sarebbero solo tre i minuti che hanno intervallato la telefonata della Farnesina ai genitori di Regeni e il comunicato dell’Ansa che riferiva della decisione italiana di riportare l’ambasciatore al Cairo.

Manconi ha parlato di «complessi di inferiorità nei confronti di Stati Uniti ed Egitto», di «incapacità di diplomazia nello svolgere un ruolo indipendente» e di «sudditanza e rinuncia alla propria sovranità». Parole nette e che rivelano forse ancor più le insufficienze del governo italiano nello spingere l’Egitto a giungere ad una verità forse troppo scomoda e che ha visto e vede tutt’ora una Italia rinunciataria.

L’intervista a Manconi è ancor più interessante quando scivola nelle possibili scelte che il governo italiano avrebbe potuto intraprendere: «Nel corso di alcuni con il sottosegretario (riferimento ad Enzo Amendola, ndr) ho indicato puntualmente quali potessero essere simili provvedimenti. Li ho persino dettagliati in punti precisi: a) dichiarazione formale all’Egitto come Paese non sicuro, indicata in maniera inequivocabile e resa pubblica in tutte le sedi e tutte le circostanze, in ragione di quanto accaduto al nostro connazionale e di quanto le organizzazioni della tutela per i diritti umani documentano a proposito di rapimento, sparizione e assassinio di dissidenti egiziani; b) sospensione degli accordi speciali di riammissione dei profughi egiziani nel Paese di origine; c) sospensione della concessione di licenze ad aziende italiane per la vendita di armi o pezzi di ricambio per armamenti a società private o pubbliche egiziane».

Manconi si è poi spinto nell’argomentazione di queste proposte, da attuare precedentemente all’eventuale decisione di riportare l’ambasciatore al Cairo: «Il senso di quelle proposte era chiaro: senza rompere le relazioni diplomatiche con l’Egitto, si adottavano misure nel campo del turismo, in quello delle relazioni commerciali e in quello dell’immigrazione tali da esercitare quella forza di persuasione e quella pressione democratica che l’invio dell’ambasciatore al Cairo avrebbe fatto venir meno».

Le proposte, si diceva, sono rimaste evidentemente inascoltate e forse esaminate in maniera troppo sbrigativa. Ne sono un segno quei tre minuti di intervallo tra la telefonata ai Regeni e la comunicazione all’Ansa della decisione italiana, ne è un segno l’avvertimento altrettanto sbrigativo a Manconi della decisione. Una decisione che indebolisce o rafforza l’Italia nella ricerca della verità? Secondo Manconi non vi sono dubbi: «Ho la sensazione che (la decisione, ndr) l’allontani ancor di più. Non è certo un caso che, per giustificare l’invito dell’ambasciatore, il governo abbia parlato di progressi nella cooperazione giudiziaria tra Egitto ed Italia, di cui al momento non esiste la più esile traccia. Si pensi che la promessa più impegnativa della Procura egiziana riguarda la consegna di filmati nel prossimo settembre che dovevano essere messi a disposizione della nostra magistratura già un anno fa».

Settembre, come la data del 4, quando il governo fornirà in Parlamento le proprie argomentazioni su una scelta che potrebbe rivelarsi decisiva, in positivo o in negativo. Forse ancora troppo tardi a livello di tempistiche, in una vicenda che avrebbe invece forse richiesto una tempestività irrinunciabile per la tutela non solo delle relazioni diplomatiche ma anche e soprattutto dei diritti umani. Diritti umani spesso calpestati, come accaduto purtroppo a Giulio Regeni.

foto da: ilpost.it

Cosimo Cataleta


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