Botox di Kaveh Mazaheri, intervista al vincitore di Torino 2020: “tra mistero e commedia nera”
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Per la rubrica UNCUT GEMS – diamanti grezzi, Botox di Kaveh Mazaheri: le interviste di Antonio Maiorino sui migliori film d’autore del cinema contemporaneo mondiale. Spesso, inediti (in Italia), non ancora “sgrezzati” dallo sguardo dello spettatore; spesso, autentici gioielli nascosti.
Due notizie: la prima è una non-notizia, perché già sapevamo che il cinema iraniano è vivo e creativo, e la vittoria di Botox di Kaveh Mazaheri al Festival di Torino 2020 lo conferma (miglior film e migliore sceneggiatura); la seconda è una contro-notizia, perché il regista iraniano non sarebbe tecnicamente al debutto, come si è letto da più parti, in quanto ha già alle spalle una ventina di documentari ed almeno cinque cortometraggi – scusate se è poco. L’ultimo, Retouch, nel 2017 fece incetta di partecipazioni e premi in mezzo mondo, tra cui il prestigioso riconoscimento del Tribeca Film Festival. Da buon corto, impattava: la storia era quella di una donna che lasciava morire il marito dopo averlo visto subire accidentalmente un infortunio domestico. C’è una qualche ferocia anche in Botox, una di quelle storie che sanno orchestrare l’acidità del proprio sapore rinunciando ai generi, rinunciando a giudicare. Lo diciamo noi, allora, per non smarrirsi nei labirinti della mente o in quache landa periferica dell’Iran, che al film riesce bene una mistione tra thriller, dramma e commedia nera.
LA TRAMA DI BOTOX (QUI IL TRAILER)
Azar lavora in una clinica estetica, al servizio di tutte quelle persone a cui sta stretto il proprio aspetto fisico; e a lei, forse, sta stretta la vita domestica col fratello e con la sorella Akram. Quest’ultima dà una mano in casa, ma a volte si rifugia nella propria dimensione mentale; pare sia autistica. Quando il fratello “scompare”, le due sorelle si fabbricano una bugia. O meglio: la mente è Azar, mentre Akram va per lo più tenuta a bada. Anche perché prende piede, frattanto, il progetto di coltivare funghi allucinogeni. Il guaio è proprio che spuntano problemi come funghi, le bugie collassano, le allucinazioni crescono.
PERCHÉ INNAMORARSI DI BOTOX
Il bianco di alcuni paesaggi dell’Iran, ammantati dal sale come fosse neve; il nero della commedia dark, o del noir alla Fargo: in mezzo, Botox ha il grigiore di certe vite da cui alcuni evadono con i sogni di plastica del ritocchino chirurgico, altri con avventurose imprese clandestine, altri ancora nel cerchio semi-chiuso della propria mente ci hanno sempre vissuto. Inafferrabile e sorprendente, Botox di Kazeh Mahaveri abbina ad un’eleganza formale controllata per composizione e fotografia, una storia ricca di colpi di scena, alcuni fulminei, che punteggiano un racconto fatto di suspense ed inquietudine con acuti ritratti psicologici. Ci s'inquieta, si riflette; qualche mezzo sorriso è abortito nella suspense: l’operazione è servita.
L’INTERVISTA: KAVEH MAZAHERI SI RACCONTA
ANTONIO MAIORINO: in un’intervista del 2017 dichiarasti che avevi un film in preparazione dal titolo Botox, che avrebbe avuto qualche somiglianza col tuo corto pluripremiato Retouch. Alla fine, quali sono risultate le principali somiglianze?
KAVEH MAZAHERI: penso che si somiglino quanto al tema generale e alla struttura complessiva della storia. Diciamo, la struttura di base della storia.
A.M: mi ha lasciato perplesso il fatto di leggere di Botox su testate online e riviste di cinema come del tuo “sorprendente debutto”, come se cortometraggi e documentari non fossero “cinema”. Come dico spesso: il debutto per critica e pubblico non corrisponde al debutto per il cineasta.
K.M: sfortunatamente, questo modo di vedere esiste un po’ in tutto il mondo: si prendono in considerazione sono i film di finzione come cinema, mentre altre forme di espressione sono relegate all’angolo. Di recente, anche circoli cinematografici che prima sapevano guardare al cinema in un modo fresco e moderno cercando nuove strade, metodi ed esperienze, sono infine ricaduti su punti di vista commerciali. Si tratta, probabilmente, dello stesso modo di fare che le gallerie d’arte hanno applicato a dipinti ed arti visive: nello stesso modo si comportano i festival di cinema e i mercati col cinema. Ad ogni modo, è così che va.
A.M: il titolo Botox si riferisce alla clinica estetica in cui una delle due sorelle, Azar (Mahdokht Molaei), esegue le operazioni di iniezione di botox. Sembra chiaro, tuttavia, che il titolo debba avere, di là del riferimento puramente contestuale, un più profondo valore simbolico. Si tratta di un significato connesso in qualche modo al fatto che nel corso del film si alluda a “sogni artificiali” con schermi televisivi, poster con belle donne, il cenno di una donna in clinica alle “Barbie” dalla bellezza di plastica su Instagram?
K.M: la tua è una notazione interessante, non la rigetto. Devo però dire che la tua percezione da spettatore attento è anche più accurata rispetto a quanto avessi in mente. Per rispondere comunque alla tua domanda, direi che nel processo di iniezione del botox, succede di fatto qualcosa che dà alla persona l’illusione di essere giovane. Infatti, uccidendo e paralizzando temporaneamente alcuni muscoli, puoi raggiungere il suo sogno. Questo è quello che a modo suo fa la sorella di Azar, ossia Akram: alla fine del film agisce a modo suo per far sì che il sogno diventi realtà, ma di fatto, tutto viene distrutto e si tratta di una mera illusione. Mi piaceva davvero creare una situazione così grottesca.
A.M: veniamo, appunto, all’autentica protagonista del film, Akram. Il prologo è sempre una forma di comunicazione strategica con lo spettatore e ne orienta una prima strategica percezione dei personaggi. Prima ancora che compaia il titolo Botox, osserviamo Akram davanti a uno schermo televisivo, mentre guarda come incantata i cartoni animati. Cosa ti aspetti che comunichi questo incipit allo spettatore?
K.M: è come se la prima scena “incapsulasse” tutto il film. Ho cercato di iniziare il film con una scena semplice in cui il personaggio di Akram, la sua intera vicenda, le sue relazioni con gli altri e lo stesso tono del film apparissero immediatamente chiari. Gli spettatori, poi, ritroveranno tutti questi elementi man mano che vedranno il film nella propria interezza.
A.M: restiamo alla stessa Akram. Il personaggio soffre evidentemente di qualche disturbo mentale, altrove hai specificato che sarebbe autistica. In un contesto drammatico, a volte al confine del thriller, l’attrice Susan Parvar conferisce ad Akram un’inattesa mimica da commedia slapstick. Cos’avevi chiesto all’attrice?
K.M: per cominciare, io e Susan abbiamo parlato per giorni interi del personaggio di Akram. Cercavo di spiegarle da dove l’avessi preso e cosa pensassi di questo personaggio. Dicevo che è una donna apparentemente abbastanza matura, ma con dei tratti piuttosto infantile. Akram vive nel suo mondo e secondo le sue logiche, che spesso non corrispondono alla vita reale. Ma questo mondo mentale è il mondo più reale per lei. Ho detto a Susan che volevo ottenere una visione completamente esterna di un personaggio introverso. Questo gioco, che in effetti assomiglia ad una commedia slapstick, è di fatto il frutto della creatività della stessa Susan, affinata insieme con degli esercizi prima delle riprese. Indubbiamente, l’interpretazione di Susan Parvar è stata la mia più grande scommessa nel realizzare Botox. È un’attrice intelligente e creativa che riesce a capire l’atmosfera del film e ciò che vuoi fare e lo interpreta nel migliore del modi.
A.M: un’altra delle qualità salienti del tuo film è la meravigliosa fotografia del paesaggio, spesso ripresa in campo lungo, come nelle suggestive scene sul candido pianoro di sale dove le due sorelle cercano di combinare qualcosa di losco – non rivelo altro per non rovinare la visione del film. L’attenzione ai paesaggi è caratteristica del cinema iraniano, ma poi bisogna calarla nei singoli contesti film: in Botox, in che modo i paesaggi amplificano la drammaturgia del racconto?
K.M: devo dire che durante il processo di scrittura della sceneggiatura, ero in cerca di elementi che fossero completamente naturali e reali, ma che allo stesso tempo avessero qualcosa di magico all’interno. La location del lago salato, o il collegamento tra il mercato iraniano e la Germania (*c’è una parte del film in cui Akram immagina ad occhi aperti di essere a Berlino, ma di fatto è in un mercato locale, n.d.R.), o ancora le sequenze finali e l’intera vicenda della crescita del Fungo Magico, sono inserite esattamente per questa ragione. Quanto all’uso dei paesaggi e al timing dei piani, devo dire che anche questo è parte di quel complesso che contribuisce all’atmosfera del film. Ho cercato di fare in modo che gli spettatori non fossero completamente immersi nella storia e mantenessero piuttosto le distanze dai personaggi e dalla storia. Penso che questo sia un modo più morale di girare questo film.
A.M: ti avrei chiesto proprio delle distanze. In vari momenti della storia prendi le distanze non solo da Akram, ma dai personaggi in generale, come se li osservassi dall’esterno. Penso alla perfetta simmetria compositiva della scena in cui le due sorelle sono in due stanze contigue, con Azar affaccendata in qualcosa di molto importante in bagno e Akram che si gratta in soggiorno, e tu le riprendi contemporaneamente dal corridoio. In altri momenti, però, assumi decisamente la prospettiva di Akram, come nella scena del mercato o nel finale. Su che basi hai avvertito l’esigenza di questi slittamenti di prospettiva?
K.M: vero. Come dicevo, volevo che il pubblico si distanziasse dai personaggi del film. nella scena del mercato, la direzione cambia gradualmente fino ad incorporare la visione in oggettiva di Akram, perché il racconto avviene dalla testa di Akram. Questa è una delle mie scene preferite tra quelle completamente improvvisate. Questa scena era solo un rigo in fase di scrittura, ma quando sono andato in Germania per girare, ho deciso di trasformarla in una sequenza più ricca di dettagli.
A.M: la spina dorsale del tuo film è una bugia che precipita e diventa ingestibile. In una recente intervista con Farnoosh Samadi, regista del film 180 Degree Rule appena proiettato nei festival di Toronto e Londra, lei mi ha detto che è spesso la società a costringerci a mentire, perché non accetta la verità. É anche il caso di Botox? La bugia è a volte una necessità oppure resta comunque il risultato di una scelta individuale?
K.M: concordo con Farnoosh, che è anche una mia buona amica. Pare che mentire, nascondere, mostrare le cose diversamente e mantenere una buona reputazione ad ogni costo siano diventati elementi inseparabili delle vite degli Iraniani. Salvare la faccia è un valore nelle vite degli abitanti dell’Iran per il quale la gente è spesso costretta a mentire.
A.M: alla fine, risulta che non sia agevole definire Botox entro la cornice di un genere: alcuni parlano di film drammatico, altri di commedia dark; ci sarebbero, poi, anche dei tratti quasi da thriller. Certo è, nel cinema contemporaneo la distinzione dei generi diventa sempre meno decisiva. Ne ho parlato spesso con i registi stessi nelle mie interviste ed il caso di Parasite di Bong Joon-ho, vincitore a Cannes e agli Oscar, sembra sancirlo ulteriormente. Vale anche per Botox?
K.M: i generi non esistono. Sono solo parole inventate da teorici e critici che vogliono classificare i film per tirarne fuori le cose da fare e quelle da non fare nel cinema. Personalmente faccio semplicemente ciò che mi sento di fare. Qualche volta finisce per coincidere perfettamente con un genere, qualche altra volta può venire fuori una combinazione di diversi generi, come in Botox. Per le sue nevrosi, Botox è un thriller con toni da commedia nera, ma quando stavo girando il film, ho pensato semplicemente a come mi sentissi di fronte alla macchina da presa e al tavolo di montaggio, e a far recitare gli attori in maniera credibile. Tutto doveva essere orchestrato in modo tale che io stesso, primo spettatore del film, ci potessi credere, ma come regista, cerco di lavorare in maniera istintiva.
SCHEDA DEL FILM
Genere: commedia, drammatico, thriller
Anno: 2020
Paese: Canada, Iran
Durata: 97'
Regia: Kaveh Mazaheri
Sceneggiatura: Kaveh Mazaheri, Sepinood Najian
Cast: Sussan Parvar, Mahdokht Molaei, Soroush Saeidi, Mohsen Kiani, Morteza Khanjani, Maryam Najafi, Mahnaz Oftadehnia
Fotografia: Hamed Hosseini Sangari
Montaggio: Pooyan Sholevar
Produzione: Darvash Film
(immagini: in copertina e all'interno, fotogrammi dal film Botox, in particolare, prima immagine: Akram a sinistra e Azar a destra in auto; terza immagine: dialogo tra sorelle attraverso un divisorio; quarta immagine: Akram cammina; quinta immagine: Azar sul pianoro di sale disciolto. Fonte: Kazeh Mazaheri, Darvash Film; unica immagine non appartenente al film all'interno: la seconda dall'alto, con Kaveh Mazaheri a destra sul set del film. Si ringrazia Peyvand Sholevar)
Antonio Maiorino