"Blue Jasmine" di Woody Allen, declamazione sull'amoralità dell'alta borghesia americana
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Dopo le escursioni europee Midnight in Paris e To Rome with Love, con Blue Jasmine Woody Allen torna a raccontare una storia ambientata nella società americana.
Blue Jasmine mette in scena il proverbio più antico del mondo non è tutto oro quello che luccica o meglio ne fa, stile già ben delineato negli ultimi titoli dell’autore, l’ennesimo film a tesi, dove la vicenda è pretesto narrativo totalmente asservito alla dimostrazione di una teoria e lo svolgimento degli eventi, azione e personaggi compresi, ne è eloquente manifestazione. Tale costruzione drammaturgica, che funziona in modo eccellente quando affronta tesi e ragionamenti brillanti (sul senso del tempo e il rapporto con il passato - deliziosamente - in Midnight in Paris), in Blue Jasmine sconfina nel visibile meccanicismo poiché la storia è adibita, con un principio di estrema semplificazione, alla dimostrazione di tesi antropologiche e di natura etica, variamente complesse e non proprio di natura opinabile. Ne consegue una rappresentazione stereotipata e a tratti superficiale della realtà, ironica e d’amaro cinismo ma generata da una distinzione strutturata a tavolino, fra comportamenti standard di poveri e ricchi, di buoni e cattivi, che quasi possiedono coordinate spazio-temporali, finendo per inglobare luoghi comuni e clichè.
Dopo il catastrofico ed irreparabile fallimento del suo matrimonio con Hal (Alec Baldwin), ricco uomo d’affari che, arrestato per frodi finanziarie, si suicida in carcere, Jasmine (Cate Blanchett), per cercare di ricostruire la sua vita si trasferisce a San Francisco nell’appartamento della sorella Ginger (Sally Hawkins) che lavora in un negozio di alimentari, veste con poco gusto e frequenta uomini poco eleganti.[MORE]
Si viene catapultati in un mondo dove tutto è già simbolicamente prestabilito, dove non esiste un percorso di trasformazione dei personaggi, in quanto questi, nella loro presentazione, primariamente enunciano la tesi, agiscono per svolgerla e ritornano al punto di partenza per dimostrarla. Lo sviluppo tematico si muove in costante dipendenza da una teoria di riferimento, alla quale ogni logica, evento, azione deve costantemente rimandare e sottostare. Il campo di indagine è la non troppo virtuosa società americana, il vuoto di senso etico che pervade gli esseri umani contemporanei e l’infima amoralità declinata nell’andirivieni delle menzogne più sfacciate, dette agli altri ma ancor prima a se stessi, in luoghi e situazioni ove l’apparire è il principale segno distintivo dell’essere, caratteristiche attribuite a personaggi di provenienza alto borghese che fondano la costruzione interiore di sé su un’immagine sociale, ricca, elegante e ontologicamente “perbene”.
Sull’altra riva, a sostegno della suddetta tesi antropologica, come se si trattasse di una semplice distinzione di genere (e magari lo fosse) oltre che di classe, ci sono i poveri, ingenui per definizione, puri di spirito, rozzi ma capaci di slanci emotivi sinceri e altruismo (sul serio è sempre così?)
Una leggerezza di superficie, messa in atto nei modi più squallidi ad opera dei suoi più degni rappresentanti (i ricchi e i borghesi), nasconde il fondo amaro di un mondo tragico comico, lugubre e a tratti grottesco, dove la speranza del cambiamento non fa minimamente capolino dall’immaginario oscuro a cui l’idea di origine allude e fa capo.
La costruzione drammatica, già a rischio di fallimento, del film a tesi, diviene ulteriormente pericolante nella centralità del personaggio negativo, che orienta la direzione dello sguardo, in accordo con la dimostrazione della tesi, provocando nei confronti di Jasmine antipatia e repulsione. Di fatto, come si declama a gran voce, dalla stampa estera a quella italiana, tiene magistralmente i fili dell’operazione Cate Blanchett, conferendo al suo personaggio - che non deve far nulla per portare avanti la storia ma solo dar corpo e forma alle mille sfaccettature della pochezza interiore - tutte le sfumature di umanità e fragilità con cui si rende tanto miserevole quanto commiserabile il fallimento esistenziale di una gran dama decaduta.
E difatti attorno alla protagonista, al carisma dell’attrice, acclamata per la sua esemplare interpretazione, si raccoglie principalmente il plauso, il coinvolgimento, l’ammirazione, e di conseguenza l’entusiasmo verso il tema ed il testo sviluppato dall’azione.
Spogliando Blue Jasmine di tale superba interpretazione ne resta, se non il vuoto, senz’altro un groviglio di rinverditi stereotipi che non genererebbero pathos attraverso alcun elemento della messa in scena, ma potrebbero più facilmente comporre un aneddoto, un proverbio illustrato, elementare, già sentito, abusato e neanche particolarmente sottile e profondo.
Titolo originale: Id.
Regia: Woody Allen
Interpreti: Cate Blanchett, Alec Baldwin, Peter Sarsgaard, Alden Ehrenreich, Michael Stuhlbarg, Bobby Cannavale, Louis C.K., Sally Hawkins, Max Casella, Charlie Tahan, Steven Wiig, Andrew Dice Clay, Tammy Blanchard, Vanessa Ross, Tom Kemp, Catherine MacNeal, Glenn Fleshler
Origine: Usa, 2013
Distribuzione: Warner Bros.
Durata: 98'
Gisella Rotiroti