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CITTÁ DEL MESSICO, 18 APRILE 2014- Si è spento ieri sera Gabriel García Márquez, Nobel per la letteratura 1982. Dimesso da pochi giorni a seguito di un ricovero per un’infezione polmonare e alle vie urinarie, si afferma che la causa del decesso sia stata l’aggravarsi di una polmonite. Il noto scrittore aveva sofferto di cancro linfatico e, si suppone, di Alzheimer, ma le sue condizioni di salute non sono mai state chiare. La famiglia ha sempre tutelato la sua intimità. Quella famiglia a cui è stato vicino nonostante il successo mondiale.
Ma i necrologi li lasciamo alle altre testate. InfoOggi saluta Gabo in altro modo.
Abbandonato dalla madre nei primi anni di vita, Márquez cresce con i nonni in quell’America del Sud che tanto ritroviamo nei suoi romanzi.
Le compagnie bananiere di Cent’anni di solitudine, le imbarcazioni di L’amore ai tempi del colera, gli uomini sempre dediti all’amore fino ad età avanzata (Memorie delle mie puttane tristi, il suo ultimo lavoro) sono stati presenti nella vita dell’autore fin dall’infanzia.
Catturata l’immagine, Márquez ha composto libri incentrati sulla realtà rifiutando la definizione di “realismo magico” di cui, per i critici, è il maggior esponente.[MORE]
«La realtà- affermava- è molto più magica di quanto possiamo immaginare». Cogliere quello che l’uomo medio definisce “surreale” è privilegio di un animo sensibile, uno spirito “realistico e triste”.
Sensibilità propria all’autore che ha abbandonato tutto per scrivere, essere voce per il suo popolo e donare storie indimenticabili ai suoi lettori.
«Mangerai carta» gli disse il padre, ma lui ha sfamato, e continua a sfamare cuori e menti, con la sua carta parlante. Un uomo che non ha mai cercato la celebrità, che ad alcune conferenze parlava da seduto per la paura di cadere, ma per cui scrivere era l’unica cosa indispensabile, ha investito tutto se stesso per la rinascita culturale del suo paese.
Quindi non esiste addio, non esiste morte per Gabriel García Márquez.
«Andiamo, amica mia, lungo gli immobili fiumi dell’Asia a calmare questa sete di quattro secoli con il sudore di tutti i cavalli. Poseremo le mani sul colore della penisola iberica per sentire nel sangue la nascita delle tue parole. E sveglieremo la Siberia dal suo insondabile sonno appena turbato da millenarie tempeste geologiche. Andiamo a passeggiare, silenziosa amica, prima che la morte venga a far deviare il percorso delle nostre ossa.»
Già lo vedo: pesciolino d’oro al collo, accompagnato da Melquìades, Florentino Ariza, Eréndira, l’uomo-angelo, il colonello Buendìa e tutti i suoi straordinari personaggi su una nave a vapore lungo i fiumi sudamericani.
Sotto braccio non ha i libri della disfatta dopo cent’anni, no. Ha quei versi che lo innalzano all’immortalità. Quelle storie che saranno eco della sua grandiosa sensibilità, in eterno.
E lungo la corrente va… verso quell’alba poetica, ricercata, che sa di amori, gerani, zucchero e arance, circondato dal canto dei grilli.
Arrivederci Gabo.
Valeria Nisticò
Fonti
Gabriel García Márquez: Cent’anni di solitudine, L’amore ai tempi del colera, Memoria delle mie puttane tristi, La incredibile e triste storia della candida Eréndira e della sua nonna snaturata, Non sono venuto a fare discorsi, Scritti costieri (1948- 1952), Gente di Bogotá (1954-1955), Come si scrive un racconto, Taccuino di cinque anni (1980-1984).
Gerald Martin: Vita di Gabriel García Márquez.