Antonia Caprella: Copanello, "nostalgia di ricordi spariti"
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La strada per andare al mare era lunga circa 10 chilometri, in discesa e piena di viottoli e scorciatoie sconnesse e pericolose. Il primo agosto di ogni anno partivamo dal paese con l'unico mezzo di trasporto (un vecchio camioncino con due tavoli per sedili, che fungeva da autobus) si partiva col buio e si arrivava sulla spiaggia all’alba: ogni volta era una meraviglia vedere l’alba sullo Ionio!
Rimanevo incantata a guardare il sole che spuntava piano, piano: quella palla di fuoco che man mano cresceva colorando il cielo di rosso, formando sull’acqua uno specchio di luce accecante argentea. Restavo affascinata a guardare quei giochi di fuoco e quella miriade di cristalli sull’acqua del mare. Sembrava che dal profondo dell’oceano si spandesse su quelle colline rocciose e aride per dare loro un po’ di refrigerio… ma era solo una mia sensazione. Il sole del sud non dà refrigerio: batte senza pietà su quelle terre rendendole roventi e assetate. Sulla spiaggia venivano costruite delle capanne di canne e i miei genitori ogni anno ne affittavano una per il mese di agosto.
Quando nei documentari vedo villaggi sperduti e selvaggi su spiagge tropicali, mi ricordo della Calabria di quei tempi. Ho la foto di una stazione balneare dell’epoca, Copanello: adesso è diventata una delle spiagge calabresi più frequentata dai turisti. Devastata e sommersa dall’abusivismo cementizio. Mi nasce nel profondo del cuore una tenerezza infinita nel guardarla: quanti ricordi!
Quelle capanne allineate, l’odore del caffé bollito in un vecchio pentolino di rame e quello del sugo di carne di capra nei tegami di terra cotta… e ancora l’odore dei peperoni fritti che si spandeva su tutta la spiaggia. E poi c’erano i biscotti fatti in casa, il latte fresco comprato da un pastore che pascolava il gregge poco lontano dalle capanne e tanta frutta rimediata nei frutteti vicini. Poi, le fette di capicollo con il pane fatto dalla mia mamma e la mattina l’ovetto sbattuto con un goccio di marsala. Si pranzava sotto una veranda di canne e felce e si sudava tantissimo.
La sera era più divertente: l’aria era un po’ più fresca e si chiacchierava insieme scambiando il cibo con gli inquilini delle capanne vicine.
I fuochi di notte sulla spiaggia, i bagni fatti al chiarore della luna, i più piccoli che giocavano vicino ai genitori e noi, che spiavamo i nostri fratelli e sorelle che amoreggiavano dietro i cespugli di ginestra, di oleandro o folti cespugli di pino. Poi… tutti in acqua! Ci divertiva seguire la scia che la luna disegnava sul mare. Io avevo un po’ paura a nuotare verso quel abisso buio, ma mi facevo coraggio e seguivo il gruppo. La mamma era sempre pronta a rincorrerci per sgridarci e punirci: non voleva che entrassimo in acqua di notte.
Quella era pura e sana felicità ❤
Antonia Caprella