Alessandro Bertolucci, la qualità dell'onestà. Intervista all'attore
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ROMA 30 NOVEMBRE 2012- Alessandro è un onesto attore teatrale, cinematografico e televisivo nato a Lucca ma residente a Roma. È attualmente nelle sale cinematografiche con l’opera prima di Guendalina Zampagni “Quell’estate”. Il film è una commedia dolce e amara allo stesso tempo, racconta di una famiglia che viene rivoluzionata dall’amore e tutte le sue declinazioni. La famiglia Renzi trascorre l’estate nella vecchia casa nella campagna toscana. I genitori tenteranno di risollevare il loro matrimonio in crisi. L’adolescente Matteo, rimandato in tre materie, vivrà i primi tormenti d’amore e Eleonora, sua sorella maggiore e ragazza madre, sarà in costante ricerca dell’uomo giusto. Alessandro Bertolucci è pienamente convinto che il messaggio migliore che si possa dare in tv sia quello della qualità del lavoro, serio ed onesto, trasparente e che sia svolto nel rispetto della gente. Alessandro vuole farcela con le sue forze, sempre e comunque, senza l’aiuto di nessuno.[MORE]
Sei tra gli attori protagonisti del film ora nelle sale “Quell’estate”, opera prima di G. Zampagni, perché hai deciso di farne parte?
“Quell’estate” è un piccolo film con un potenziale artistico enorme. È una commedia familiare di un’ironia e di una delicatezza incredibili. Fa ridere e commuove. Trasmette realmente il sapore degli anni ’80, periodo in cui è ambientata. Un tale risultato si ottiene grazie all’impegno di tante persone, ma alla base deve esserci una sceneggiatura ben scritta. Quando lessi la sceneggiatura lo capii immediatamente e, mi innamorai del personaggio di Antonio, che mi era stato offerto.
Ci racconti meglio di Antonio, il tuo personaggio?
Antonio non è certo il personaggio centrale di questa storia, ma è sicuramente il principale elemento di disturbo del film. Non è cattivo, è solo un superficiale, una di quelle persone che fugge davanti alle proprie responsabilità. É anche un tipo che pretende di essere un “bello e dannato” ma, in realtà, è solo un oste forse un po’ patetico nel suo provincialismo che si crogiola nella sua piccola realtà.
Il film è ambientato a Castel di Pari tra Grosseto e Siena nella campagna toscana. Dopo i paesaggi mozzafiato di Terra Ribelle, è la volta della Toscana, la tua terra..
In ordine di tempo “Quell’estate” è stato girato prima di “Terra ribelle – Il nuovo mondo”. Certo, girare il mondo è bello, forse uno degli aspetti più interessanti del mio lavoro, ma la Toscana è sempre la Toscana. Trattasi di puro campanilismo. Oggettivamente tutta l’area fra Siena e Grosseto è uno spettacolo. Una delle tante località da sogno di cui il nostro Paese è così ricco, tanto da farti credere, a volte, che in Italia si potrebbe vivere anche solo sul turismo e la cultura.
Cosa ti ha lasciato Quell’estate?
Questo film mi ha regalato delle immagini bellissime della mia terra natia. Inoltre mi ha lasciato lo splendido ricordo dell’ospitalità della gente del luogo. Durante le riprese fummo tutti coccolati dagli abitanti di Pari, merito della regista che là è di casa. Un sogno.
In molti sostengono che il teatro sia la linfa vitale per un attore. Sei d’accordo? Cosa ti trasmette di diverso esibirti sul palcoscenico, piuttosto che davanti ad una telecamera? Che cos'è il teatro?
È mia opinione che chi fa l’attore senta una necessità interiore a comunicare, a emozionare. Questa necessità viene soddisfatta nel momento in cui un attore può fare il proprio lavoro. Il teatro, rispetto al cinema o alla televisione e al doppiaggio, soddisfa il bisogno di comunicare e da subito all’attore l’esito della comunicazione, dell’emozione trasmessa. C’è una immediatezza che attraverso la macchina da presa non c’è. Il teatro è inoltre la possibilità di provare, di entrare nel personaggio gradualmente, mentre in Italia i tempi dell’audiovisivo sono molto più stretti. Da parte sua, il pubblico che va a teatro, secondo me, deve esigere l’emozione della interpretazione dell’attore, deve pretendere la qualità dallo spettacolo che va a vedere; solo con una partecipazione attiva si nutre il teatro. Vabbè anche il cinema…e la televisione…ah, sì anche la cultura e la democrazia.
La Cultura è il principale termometro della democrazia e della libertà di pensiero di una nazione. L’ex ministro Tremonti, tuttavia, aveva dichiarato che con la cultura non si mangia. Sei d’accordo?
Sicuramente si mangia di più con una poltrona in Parlamento, però credo che il punto sia un altro. La cultura in Italia potrebbe dare da mangiare a tutti gli italiani, ma sfruttare una tale risorsa implicherebbe prendersi cura realmente del nostro Paese. Perché l’Italia sprizza cultura da tutti gli angoli. Bisognerebbe capire che ogni singola città o villaggio dalla Sicilia alla Valle d’Aosta ha una storia, un bagaglio culturale enorme, resti archeologici, pievi romaniche, mura etrusche, opere rinascimentali, teatri storici; un tesoro culturale unico al mondo. Ma pare sia più facile distruggere i nostri paesaggi per fare favori alla lobby dei palazzinari, o cercare di smantellare pezzi di storia come Cinecittà, perché tanto hanno detto che “si campa solo di parcheggi”.
Negli ultimi anni, la televisione è completamente cambiata. I reality show hanno dominato il panorama televisivo e hanno inaugurato un periodo in cui la tv urlata prevale a discapito dei programmi culturali ed educativi. Credi che ci siano ancora dei programmi in grado di veicolare valori positivi? La televisione, infatti, dovrebbe anche essere portatrice di cultura...
Spero di non sbagliarmi ma credo che la stagione dei reality stia tramontando. Secondo me gli italiani si sono stufati di un certo tipo di programmi e stanno cominciando ad orientarsi verso altri prodotti. I programmi di qualità, poi, sono sempre esistiti, magari relegati in orari assurdi ed hanno sempre avuto un proprio pubblico. Non dimentichiamoci che il cosiddetto programma culturale ed educativo non può prescindere dal programma di intrattenimento o dalla fiction, perché qualunque rete deve puntare, in quanto azienda, ad un profitto. Tutto sta, come non mi stancherò mai di ripetere, nell’educare il pubblico alla visione, nell’affinarne il gusto anziché imbarbarirlo. Il circolo vizioso può divenire un circolo virtuoso se il pubblico viene messo in condizione di scegliere fra una pluralità di programmi ben fatti. Per capirci: anche il reality va bene, se non si arriva alla tredicesima edizione ma ci si ferma bensì prima e si rinnova poi l’offerta. La fiction o il programma di intrattenimento possono essere altamente educativi e veicolare valori positivi raccontando certe storie, proponendo personaggi e situazioni rappresentativi di una società sana, dall’alto profilo morale magari. Ma credo che il messaggio migliore che si possa dare in tv è la qualità del lavoro fatto seriamente, in totale trasparenza, onestamente, nel rispetto dell’intelligenza della gente.
Il settore audiovisivo, come molti altri, ha risentito della crisi. Cosa pensi a riguardo e lo Stato come si dovrebbe comportare?
In Italia abbiamo vissuto per anni in un finto duopolio che era in realtà un monopolio televisivo. Il regime di concorrenza di mercato sta faticosamente nascendo adesso, purtroppo in un periodo storico molto difficile. Il percorso da intraprendere è lungo e tortuoso e deve tenere conto di tante variabili, prima fra tutte l’Europa, e l’evoluzione del relativo mercato dell’audiovisivo. Lo Stato deve vigilare ed intervenire affinché questo mercato nasca realmente e si possa confrontare in modo paritetico con le realtà a noi vicine. Questo significa non abbandonare il cinema a se stesso, investire nell’ audiovisivo, nella televisione, nelle tecnologie. Mettere le aziende in condizione di potere essere concorrenziali. Tutto ciò implica: una selezione rigorosa delle figure professionali ai vertici delle aziende, un impegno politico serio nell’affermare la meritocrazia a tutti i livelli, e investimenti anziché tagli alla cultura e all’occupazione. Poi andrebbero valorizzate le produzioni che lavorano sul nostro territorio distinguendole da quelle che delocalizzano.
Il nostro Paese sta vivendo un particolare momento storico. Ritieni che il cinema italiano rifletta ciò che sta avvenendo?
Il cinema non deve riflettere ciò che sta avvenendo, perché non è meramente uno specchio, deve invece interpretare la realtà, e credo che questo le nostre produzioni cinematografiche lo stiano facendo egregiamente.
L’Italia è un Paese in cui molto spesso il merito e il talento sono triturati dalla burocrazia e dall’amichetteria. Come ti poni dinnanzi a ciò?
Burocrazia e raccomandazioni sono una piaga del nostro Paese. La prima la conosco, come tutti, e credo andrebbe snellita, ma non mi attento a addentrarmi in una materia tanto complessa. Detesto invece le raccomandazioni e i raccomandati. Come altri colleghi, sono stato a volte scavalcato da raccomandati “amici di”, “parenti di”. Nel mio piccolo provo a resistere, dando, come tanti altri lavoratori, il buon esempio, provando a farcela con le mie forze. Cito dal Cyrano de Bergerac : “ "...pur non la quercia essendo, o il gran tiglio fronzuto salir anche non alto, ma salir senza aiuto!". Per me è una massima di vita.
Oggigiorno i neolaureati lasciano in gran parte l'Italia alla ricerca di un futuro professionale migliore, convinti che in questo Paese non ci sia più una giusta meritocrazia, è davvero così?
In parte sì e in parte no. Premesso che non sono un esperto, posso solo riferire ciò che vedo, ciò che molti amici e parenti stanno passando. Trovare un lavoro di questi tempi è difficile, non solo per i neolaureati. La mancanza di meritocrazia è solo uno degli elementi che contribuiscono ad acuire il problema occupazionale del nostro Paese. Ma questa nostra Italia fa parte dell’Unione Europea, che personalmente ritengo una grande opportunità. Credo che sentirsi italiani ed europei al contempo non sia una contraddizione, e allora ben venga un buon lavoro all’estero, una esperienza che permette di allargare i propri orizzonti, una conoscenza da spendere poi magari di nuovo in patria.
Giulia Farneti