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NEW YORK, 24 SETTEMBRE 2011 – Si è svolto ieri nel palazzo di vetro delle Nazioni Unite l'ennesimo vertice per discutere i punti del negoziato di pace tra Israele e Palestina, lo stesso giorno in cui un palestinese è stato ucciso e altri tre sono stati feriti dal fuoco delle truppe israeliane nel villaggio di Nablus, in Cisgiordania. Frattini commenta: «Ho visto dei leader che vogliono la pace, ma c'è molta sfiducia reciproca». Anche Obama si rivolge all'ONU: «La pace è difficile ma è possibile e la gente la vuole». Abu Mazen: «Non voglio credere che la nostra richiesta possa essere respinta'».[MORE]
«Ne abbiamo abbastanza» esordisce il leader dell'Anp di fronte all'Assemblea generale, «siamo l'ultimo popolo sotto occupazione straniera». Tutti i riflettori sono accesi sul leader palestinese Abu Mazen, che subito ne approfitta per raccogliere uno scrosciante applauso dalle delegazioni presenti quando cita alcune parole dello storico leader dell'Olp Yasser Arafat, in un discorso del 1974: «Oggi sono venuto portando un ramoscello d'ulivo, e il fucile di combattente per la libertà. Non lasciate che il ramoscello d'ulivo mi cada di mano». Tra applausi e standing ovation, il presidente israeliano Benjamin Netanyahu replica di non essere «venuto a prendere applausi, sono venuto - ha affermato con forza - a dire la verità, e la verità è che Israele vuole la pace con i palestinesi. Che io voglio la pace».
Ma sono sufficienti poche parole del leader palestinese per far calare un gelo improvviso sui volti della delegazione israeliana: «Abbiamo presentato a sua eccellenza Ban Ki-moon una richiesta per l'ammissione piena della Palestina nelle Nazioni Unite, entro i confini del 1967, e con capitale 'al Quds Al Sharif', nome arabo di Gerusalemme», dichiara Abu Mazen tra lo sgomento dei presenti.
La sconcertante quanto inattesa rivelazione non tarda ad inasprire i toni. Il presidente israeliano non si lascia sorprendere e incalza l'avversario: «Uno Stato palestinese ora significherebbe la pulizia etnica degli ebrei. La Palestina vuole uno stato senza pace». E ancora: «i palestinesi dovrebbero prima fare la pace con noi e poi chiedere il riconoscimento del loro Stato».
In un attimo la situazione precipita e cominciano a riemergere antichi dissapori, come la questione della pulizia etnica. L'accusa viene mossa prima da Abu Mazen nei confronti di Israele e rispedita poi al mittente da Netanyahu: "vera" pulizia etnica sarà quella dei palestinesi che, nel loro nuovo Stato, non permetteranno l'ingresso degli ebrei.
Intanto, in sede di Consiglio di Sicurezza dell'Onu si discute per impedire che la richiesta palestinese provochi uno scontro. A pensarci sono Hillary Clinton per gli Usa, Sergeri Lavrov per la Russia, Ban Ki-moon per l'Onu e Catherine Ashton per l'Unione Europea, riuniti oggi all'ultimo piano dello stesso palazzo di vetro. I quattro diramano infine un comunicato in cui esortano palestinesi e israeliani a «riprendere negoziati di pace entro un mese», per poi avanzare richieste globali entro tre mesi. Stratagemma tattico per smorzare gli animi e stemperare l'atmosfera, ma i due presidenti preferiscono battere il ferro finché è caldo e Netanyahu si dice pronto ad affrontare la questione seduta stante: «vediamo oggi, qui al Palazzo di vetro», perché è ora di «smettere di negoziare sul negoziato, negoziamo sulla pace».
D'accordo anche Abu Mazen, a patto che Israele sospenda l'insediamento nei Territori occupati, idea che non sembra in linea con le prospettive del presidente israeliano secondo il quale sarà necessario mantenere una presenza militare israeliana a lungo termine in Cisgiordania.
Il problema, continua Netanyahu, non sarebbero tanto gli insediamenti quanto «il rifiuto palestinese a riconoscere lo Stato ebraico». Nel frattempo, tanto per non tradire la propria strategia d'azione, Israele ne approfitta per dislocare oltre 20mila agenti e un sostanzioso numero di militari in Cisgiordania per garantire il regolare svolgimento dei negoziati di pace.
Riccardo Marcucci