180° Rule, segreti e bugie in Iran. Intervista a Farnoosh Samadi: la società ci costringe a mentire
InfoOggi Cinema Campania Napoli

180° Rule, segreti e bugie in Iran. Intervista a Farnoosh Samadi: la società ci costringe a mentire

sabato 31 ottobre, 2020

Per la rubrica UNCUT GEMS – diamanti grezzi, 180° Rule di Farnoosh Samadi: le interviste di Antonio Maiorino sui migliori film d’autore del cinema contemporaneo mondiale. Spesso, inediti (in Italia), non ancora “sgrezzati” dallo sguardo dello spettatore; spesso, autentici gioielli nascosti.

Partecipando nell’arco di due mesi circa ad altrettanti super-festival, il Toronto Film Festival a settembre e il London Film Festival del BFI ad ottobre, il film 180° Rule, debutto al lungometraggio della cineasta iraniana Farnoosh Samadi, si è fatto notare come un dramma familiare solido nell’impalcatura, conciso nella secchezza dei propri 83 minuti, elevato nella temperatura emotiva dei picchi tragici ma bilanciato nel controllo autoriale di corrispondenze e ritmi narrativi tra la prima e la seconda parte. Frutto del solido bagaglio tecnico e dell’inventiva della regista dell’Iran: perché le regole della tecnica cinematografica si possono apprendere, di fatto, mentre imparare a comunicare – a volte, persino a vivere – può essere difficile senza abbecedari o manuali. Nel titolo, 180° Rule di Farnoosh Samadi fa pensare infatti a una delle meglio note regole di ripresa e montaggio della settima arte: quella per cui, seguendo un asse di 180 gradi che unisce due personaggi o oggetti, la camera riesce a mantenere la propria continuità visiva, variando distanza, altezza e angolazione nelle inquadrature ma rimanendo sempre su quest’asse immaginario. Nello sviluppo del proprio racconto, il film ci ricorda come a volte le persone siano ai poli opposti su di un asse di incomunicabilità, e che nell’incolmabile distanza sia riposta la dolorosa discontinuità del segreto, della bugia, della sfiducia. Così Sara (Sahar Dolatshahi) e il marito Hamed (Pejman Jamshidi) parlano senza parlarsi sin dalle prime battute, ferendosi in buona fede nella condivisione paradossale dello stesso intento: amare e proteggere la figlia Raha di cinque anni, molto tenera e un po’ fragile.


LA TRAMA DI 180° RULE 

Sara fa l’insegnante a Teheran, ma il “mestiere” più difficile – e bello – del mondo resta quello della madre. Genitrice della piccola Raha e moglie di Hamed, si augura probabilmente di non doversi mai trovare in complicate situazioni familiari, tipo quella di una sua giovane allieva, che, confidandosi a Sara anziché a sua madre, le confessa di essere incinta di un uomo poco incline a prendersi le proprie responsabilità. Ma anche Sara ha le sue grane in casa: si avvicina un matrimonio in famiglia, ma il marito si appresta a partire per un viaggio d’affari e proibisce alla moglie di mettersi in viaggio con la figlia, peraltro reduce da qualche malanno, per partecipare alla cerimonia. Quando Sara, mentendo, decide di contravvenire alla richiesta autoritaria di Hamed e di andare al matrimonio, la fortuna non l’aiuta. La tragedia è dietro l’angolo.


PERCHÉ INNAMORARSI DI 180° RULE

L’Italia la conosce bene, Farnoosh Samadi, che si è diplomata all’Accademia di Belle Arti a Roma e sa parlare italiano. E il mondo conosce lei: con i primi cortometraggi dietro la macchina da presa (The Silence, 2016; Gaze, 2017) ha partecipato a Cannes e Locarno, e prima ancora come co-sceneggiatrice con Ali Asgari, tra le altre cose, era stata sempre a Cannes col corto More Than Two Hours (2013) e a Venezia col corto The Baby (2014). Il suo lessico espressivo è forte, maturo, meticoloso: chi guarda 180° Rule ne apprezza l’intreccio modulato tra realismo immersivo e manipolazione metaforica. Ci s’immerge a Teheran, nella storia di famiglia, in un contesto credibile riprodotto con cura, ma allo stesso tempo l’esperienza filmica è investita da indizi, segni, premonizioni: pericoli sono accennati, segreti cumulano la tensione inesplosa, traumi divampano costringendo lo spettatore, tra moglie e marito, a prendere posizione, a mettere il dito e scottarsi.


L’INTERVISTA: FARNOOSH SAMADI SI RACCONTA

ANTONIO MAIORINO: mi capita spesso di vedere film, per esempio, italiani, francesi, tedeschi, ecc., in cui non necessariamente il fatto di essere ambientati in Italia, Francia, Germania, ecc. riveste un'influenza decisiva sul racconto. Sembra invece che un film girato in Iran debba per forza fare i conti, anche involontariamente, col contesto sociale dell’Iran. È stato così anche per te?

FARNOOSH SAMADI: considerati alcuni segmenti del film 180° Rule, l’unica cosa logica era che il film si svolgesse in Iran, visto che la spina dorsale della sua storia è nella società, cultura e politica iraniane. Tuttavia, il soggetto principale resta quello dei segreti e della sfiducia, e da questo punto di vista non era necessario che fosse un film “locale”, perché riesce a parlare al mondo e a connettersi facilmente con un vasto pubblico globale grazie al proprio tema universale. Prevaricazione maschile, inganni e problemi di comunicazione, con le loro conseguenze, potrebbero far parte della vita di ognuno, a prescindere da dove si viva; l’unica differenza è in come tutto ciò venga gestito quando diventa una questione legale.


A.M: un regista, come tutti gli artisti, è un manipolatore di significati. Anche la scelta del titolo appartiene a questa manipolazione, soprattutto quando si sceglie un titolo di forte carattere simbolico. Questo è il caso del tuo film: 180° Rule. Perché hai scelto questo titolo?

F.S: per trovare il titolo del film ho pensato a molte cose e ne ho discusso con molta gente, ma alla fine questo è stato il titolo che mi ha soddisfatto di più perché era multi-dimensionale. Prima di tutto, la donna sta creando una nuova realtà in base a quello che le succede, la realtà in cui lei spera interferisce con la realtà che vive e la modifica in un modo che le piace. Questo è ciò che fa il cinema: creare la realtà in un modo diverso, nel modo che i registi vogliono. Ecco perché ho deciso di utilizzare un termine cinematografico. A parte questo: se le stesse cose accadessero all’uomo nel film, la donna lo perdonerebbe? Nel senso, se rovesciamo la situazione di 180 gradi dal lato opposto, sarebbe lo stesso? Infine, visto che in Iran il padre ha più diritti della madre, la donna potrebbe denunciare l’uomo? Questi sono gli interrogativi che mi hanno portato a scegliere il titolo 180° Rule.


A.M: il prologo di un film è spesso l'occasione per una particolare concentrazione di significato. La prima scena di 180° Rule, col latte che bolle sul piano cottura di una cucina, è evidentemente una scena non solo descrittiva, ma metaforica. Cos’hai voluto comunicare?

F.S: era mia assoluta intenzione creare una sensazione di paura per lo spettatore sin dall’inizio del film. Il latte che trabocca sul piano cottura, per me, è una metafora della scena del matrimonio, dei vestiti bianchi e della neve che vedremo nella seconda parte del film. Avevo bisogno di far percepire allo spettatore l’evenienza ripetuta dei principali incidenti. E naturalmente, il tema visivo del bianco, che rivisitiamo nel corso del film, è un tributo all’innocenza di Sara.



A.M: questo film è chiaramente basato su segreti e bugie: appare evidente allo spettatore e tu stesso l'hai dichiarato in altre interviste. Si può dire, però, che il tema di fondo del film sia quello dell'incomunicabilità, e che i segreti siano solo una conseguenza? Una figlia non parla alla madre; il marito non ascolta la moglie; la moglie non confessa al marito

F.S: hai messo in evidenza un livello molto profondo della trama che è davvero fondamentale per me. La maggior parte delle nostre bugie e dei nostri segreti si basano sulla mancanza di comunicazione e sull’incapacità di stabilire un dialogo. Mentiamo perché abbiamo paura delle conseguenze. Mentiamo perché la nostra società si comporta come se non potesse tollerare la verità. Mentiamo perché il mondo ha così tanti tabù e non ci lascia altra scelta. Ciò non vuol dire, naturalmente, che io stia giustificando un comportamento disonesto in relazione alle circostanze del film, ma sto ponendo l’accento sul potere che avrebbe una discussione razionale, una conversazione reale.


A.M: la costruzione del dramma nel tuo film sembra caratterizzata nella prima parte da alcune scene che comunicano una sensazione di forte pericolo: per esempio, una madre e una figlia vengono quasi investiti da un'auto; un uccello sbatte contro una finestra; la bambina canta una canzone dal testo molto evocativo. Hai cercato effettivamente di creare in questa prima parte una sorta di senso della premonizione, del pericolo imminente?

F.S: sì, volevo preparare il pubblico alla seconda parte del film; ho seminato nella prima parte per raccogliere nella seconda. Ecco perché la prima parte del film è più lunga della seconda: per costruire la storia.


A.M: quando per tragici eventi esplode il conflitto tra Hamed e Sara, la recitazione di Sahar Dolatshahi s’incentra sistematicamente sul silenzio. È sia una scelta coraggiosa di sceneggiatura, sia una difficoltà dal punto di vista attoriale. Come avete gestito questa strategia del silenzio?

F.S: sì, di fatto, come capiterebbe a tutti, Sara aveva tutto il diritto di scoppiare in lacrime, urlare ed impazzire per tutto quello che le succede; ma Sara vive un intenso stato di shock e le sue reazioni subiscono la pressione di quel trauma. Fa cose che non farebbe in una situazione normale. Ho fatto il mio meglio per inserire questi complessi sentimenti di confusione nella sceneggiatura. Per predisporre questo stato d’animo durante le riprese, ho dovuto lavorare dietro le quinte in modo che queste sensazioni arrivassero a tutti e soprattutto a Sahar. Ho tenuto Sahar isolata la maggior parte delle volte per spingerla ad avere tutte quelle reazioni silenti e sofferte dentro e farle proprie, in modo tale che ognuno potesse vedergliele negli occhi e in ogni movimento. E naturalmente, Sahar Dolatshahi è un’attrice altamente professionale e ha reso tutto ciò molto facile. C’è stato un accordo pressoché totale su tutto e questa è stata una vera benedizione.


A.M: quando i genitori di Sara cercano di mediare tra lei e il marito Hamed, c’è un personaggio – Maryam – che dice al telefono che l’atteggiamento di Hamed è comprensibile “perché tutti gli hanno mentito”. In effetti è vero, dal suo punto di vista; ma è vero anche, dal punto di vista di Sara in tutta la prima parte del film, che trovare l’ascolto di Hamed era complicato. Hai preso una posizione nel film, o cercato di orientare la posizione dello spettatore rispetto alle azioni di Sara e Hamed? O hai evitato volutamente di far intendere cosa fosse giusto e sbagliato, mantenendoti neutrale?

F.S: ho cercato davvero di non far trapelare il mio giudizio personale in quanto creatrice dell’opera, non solo attraverso la scrittura della sceneggiatura, ma anche durante la produzione; volevo che il pubblico avesse la possibilità di capire ed empatizzare con i personaggi in base alla propria esperienza personale. Mi auguro fortemente che questo sentimento di autenticità sia uno dei risultati del film: la libertà di giudizio di ogni singolo spettatore, ovunque si trovi. Penso sia così che un film possa misurare il proprio successo, e spero che sia così anche per 180° Rule.



A.M: in una recente intervista, la regista Belèn Funes, vincitrice in Spagna del Premio Goya come migliore regista esordiente, mi ha dichiarato che non solo gli spettatori, ma anche alcuni critici non capiscono che anche il film più realistico è sempre “frutto di una costruzione”. 180° Rule è un film realistico, in linea con parte del cinema iraniano contemporaneo. Su quali scelte tecniche – di inquadratura, fotografia, musica, montaggio, ecc. – hai puntato in particolare per la costruzione visiva del tuo film?

F.S: per avere una visione chiara dell’ambiente che avevo in mente, ho creato un “mood book”, che conteneva tutte le mie scelte di colori e luci, comprese le atmosfere e gli scenari che preferivo. Mi è stato di grande supporto quando ho condiviso le mie idee con l’operatore di camera e lo scenografo e sono stata fortunata a ricevere un assenso totale da parte di entrambe sullo stile del film. Ho avuto piena fiducia nel gruppo di produzione, soprattutto per il suono: ho lasciato fare al progettista ciò che aveva in mente e poi ho aggiunto alcuni tocchi personali. Il suo lavoro è stato fantastico e abbiamo revisionato solo un paio di cose.  Per quanto riguarda la musica, poi, era mio desiderio quello di suscitare un sentimento di ansia sin dall’inizio del film e di preparare il pubblico alla seconda parte. Per congegnare il tema musicale, ho cominciato col confrontarmi con il compositore non appena terminata la sceneggiatura. Le nostre idee si assomigliavano molto e questo ha reso tutto più facile.


A.M: hai dichiarato che Abbas Kiarostami è uno degli autori che ti ha maggiormente influenzato, ma io non mi accontento: vorrei sapere esattamente in cosa, in che modo, come.

F.S: ci sono molti registi di cui apprezzo i film, ma se dovessi citarne uno, direi appunto, senza esitare,  Abbas Kiarostami. Sto cercando d’imparare e seguirne le orme, non solo rispetto al fatto che sia un grande mentore e regista, ma anche per quanto riguarda l’approccio generale alla vita. Sapere come vivere la vita è la cosa più importante che un regista abbia bisogno di padroneggiare.


A.M: se ho inteso bene, 180° Rule dovrebbe dar inizio a una trilogia. C'è qualcosa che hai scoperto, capito, imparato durante il processo di realizzazione di questo film, di cui terrai conto nel prossimo progetto? E qual è la prossima storia che racconterai?

F.S: con 180° Rule ho appreso quanto sia importante essere dei buoni leader, perché ci sono state difficoltà davvero notevoli durante le riprese. Proprio ora sto attraversando il processo di realizzazione del secondo episodio della trilogia. Questo episodio è uno psico-dramma che vede protagonista un uomo con un segreto che incorre in enormi incidenti. La trama è già pronta e sto già iniziando a preparare la sceneggiatura.


SCHEDA DEL FILM


GENERE: drammatico
TITOLO ORIGINALE: Khate Farzi
TITOLO INTERNAZIONALE: 180° Rule
REGISTA: Farnoosh Samadi
PAESE: Iran
ANNO 2020
DURATA: 83 minuti
CAST: Sahar Dolatshahi, Pejman Jamshidi
SCENEGGIATURA Farnoosh Samadi
FOTOGRAFIA: Masoud Salami
PRODUCTION DESIGNER: Siamak Karinejad
MONTAGGIO: Meisam Molaei
SUONO: Amirhossein Ghasemi
MUSICHE: Peyman Yazdanian
PRODUTTORE: Ali Mosaffa
PRODUZIONE: Ali Mosaffa Productions


(immagini, fonte: Pluto Film, dalla gallery ufficiale del film 180° Rule. In copertina: fotogramma del film con Sara; all'interno, prima: fotogramma del film con foto di gruppo al matrimonio; seconda: fotogramma del film con litigio familiare. Si ringrazia Daniela Cölle)


Antonio Maiorino


Autore
https://www.infooggi.it - Il Diritto Di Sapere

Entra nel nostro Canale Telegram!

Ricevi tutte le notizie in tempo reale direttamente sul tuo smartphone!

Esplora la categoria
InfoOggi Cinema.