Zinedine Zidane, l'arte di essere un predestinato
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Zinedine Zidane, l'arte di essere un predestinato

lunedì 22 maggio, 2017

MADRID, 22 MAGGIO - Nell'accezione più ristretta del termine, le teoria biblica della predestinazione è pressappoco la seguente: Dio ha scelto dall'eternità un numero determinato di persone, destinandole ad essere in eterna comunione con Lui, accordando loro la grazia. [MORE]

Poniamo allora che lo stesso Dio guidi nel 1953 un pastore musulmano, Smail Zidane, attraverso il Mediterraneo, verso le coste meridionali della Francia, a Marsiglia. Smail, che lavora come muratore, nel 1962 vorrebbe tornare nella sua Algeria, che nel frattempo ha conquistato l'indipendenza dal giogo francese, ma poco prima di imbarcarsi per l'Africa settentrionale incontra Malika, una marsigliese anch'ella originaria dell'Algeria. Immaginiamo ancora che lo stesso Dio faccia sì che i due giovani si sposino e decidano di rimanere a Marsiglia e che poi, in un caldo giorno di giugno del 1972, diano alla luce un bambino, Zinédine Yazid Zidane.

Nella serata di ieri quel bambino, che è ormai diventato grande e che per tutti è Zizou, ha vinto la sua prima Liga alla guida del Real Madrid, dopo il successo in Champions della scorsa stagione: ah, ovviamente Zidane ha vinto entrambe le competizioni anche da giocatore, altrimenti che predestinato sarebbe? Il Real ha conquistato così il trentatreesimo titolo nazionale della sua storia, che mancava da cinque anni, da quando sulla panchina delle merengues sedeva un altro tipo per niente banale come Jose Mourinho.

Ciò che stupisce del biennio di Zidane da allenatore è, fin qui, la sua capacità di amministrare un gruppo di fuoriclasse con la naturalezza del campione, anche in panchina. Scelte azzeccate in campo e fuori, capacità tattiche unite alla gestione umana dei suoi giocatori, che lo ascoltano e si lasciano guidare, riconoscendogli una personalità da veterano, mai scontata, che si rinnova nelle nuove vesti da tecnico e fa rivivere il carisma che Zizou trasmetteva da calciatore.

L'anno scorso ha preso in mano una squadra che, dopo l'iniziale disastro causato da Rafa Benitez, a metà stagione era data ormai per spacciata. Il francese l'ha riportata sulla retta via, stringendo un patto d'acciaio con i leader tecnici e mentali dello spogliatoio. Oggi il Real Madrid di Zidane si prepara a giocare la seconda finale consecutiva di Champions League e lo fa con dei punti fermi in ogni reparto: a partire dal portiere Navas, ieri decisivo nella partita che è valsa il titolo contro il Malaga; passando per una difesa in cui spicca il nome di Ramos, ma nella quale risultano fondamentali due esterni come Carvajal (attualmente infortunato) e Marcelo; con un centrocampo in cui Casemiro dà equilibrio e Modric e Kroos dirigono magistralmente le operazioni, mentre Isco è finalmente riuscito a liberare un talento cristallino; con un attacco stratosferico in cui i gol di Ronaldo non fanno quasi più notizia, in cui si esalta Karim Benzema e nel quale passa quasi in secondo piano la momentanea assenza di Bale.

Ad osservare tutto c'è Zizou, in giacca e cravatta davanti alla panchina, con la stessa classe mostrata da giocatore, con una mentalità da allenatore che alcuni ricongiungono a Lippi, altri ad Ancelotti. La verità è che forse Zizou è sia l'uno che l'altro, o forse è semplicemente sé stesso, predestinato e unico, eletto dal Dio del calcio.

Claudio Canzone

Fonte foto: skysports.com


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