'We never look up': se solo tornassimo a guardare il cielo

Emmanuela Tubelli
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MILANO, 09 GENNAIO 2013-  Una volta la vita aveva ritmi lenti, a misura d’uomo. Oggi ha un incedere fulmineo, a misura di smartphone. Tutto accade in frazioni di secondi, nel turbinio virtuale di connessioni superveloci, spregiudicate. Tutto è comodo, funzionale, efficiente, proprio come l’homo technologicus pretende che sia. Non ci si può permettere di essere in ritardo o scollegati, mai. Qualcuno potrebbe arrivare prima di noi e fregarci il posto. Qualcuno potrebbe giungere con qualche istante di anticipo a qualche notizia che noi, per primi, dobbiamo scovare. E allora, mano in tasca, ad estrarre il cellulare, il prolungamento di noi stessi, per puntare la bandierina del primato nel cyber spazio.[MORE]

Nessuno vuol dire che la tecnologia non ci aiuti a vivere meglio. Ma tanta smania non è forse esagerata? Nel darci tanto, non ci sottrae anche qualcosina? Saviano, con la solita eloquenza, ha scritto: «Gli smartphone occupano quelli che fino a poco tempo fa consideravamo tempi morti […]. Gran parte della socialità casuale è stata cassata dallo smartphone. Utile mezzo di connessione al mondo remoto e alle informazioni che però ci costringe a pagare un prezzo altissimo alla socialità reale». Difficile dire il contrario.

Le parole dello scrittore introducono un bello studio fotografico, proprio focalizzato sull’argomento. Il titolo è emblematico ‘We never Look up’ e le immagini lo sono altrettanto: ritraggono e stigmatizzano numerose persone, isolate nella loro ombra conica virtuale, dimentichi del mondo, delle persone che stanno loro attaccate, proprio lì di fianco, sulla panchina, alla fermata del bus. weneverlookup.tumblr.com/

Gli occhi perennemente bassi, a scrutare oggetti retroilluminati. Il volto leggermente inclinato in avanti, per chiudersi al mondo reale e immergersi in quello virtuale. Le mani, giunte all’altezza del petto, reggono costosi prodotti della tecnologia. L’atteggiamento trasognato di chi è qui e altrove in un solo istante. È la posa dell’uomo moderno, una posa con cui abbiamo imparato a convivere, incrociandola ogni giorno e assumendola noi stessi nelle più improbabili situazioni quotidiane. Al bar, nel metrò, al semaforo, in fila alla posta, nelle sale d’attesa che sempre più numerose si impongono alla nostra vita; spazi vuoti che gioiellinini high-tech riempiono che è una meraviglia. Smartphone, gioie e dolori. È il lato oscuro del progresso, il rovescio della medaglia.

Emmanuela Tubelli

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Scritto da Emmanuela Tubelli

Giornalista di InfoOggi

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