Un miracolo, divino o artistico, non e' mai un'opera fine a se stessa!
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13 LUGLIO 2015 - L’uomo in genere ha il vizio di godere dell’effetto di un’opera straordinaria, senza che la stessa possa provocare in lui un cambiamento o un nuovo percorso interiore. Nel caso di un dipinto di alta fattura artistica, spesso si rimane all’elogio formale, per poi spegnere i riflettori sul vero messaggio dell’autore. La cosa più grave prende forma quando l’opera viene da Dio. [MORE]
Un credente dovrebbe sapere che tutte le opere descritte nei libri del vangelo non possono e non debbano essere viste come fine a se stesse. Cresce comunque la corsa al miracolo, all’effetto speciale, ai poteri straordinari capaci di dare in cinque minuti, quanto magari non si ha mai avuto per una vita. Tutti gli atti non comuni, compiuti da Mosè, passando da Gesù, per arrivare ai giorni nostri attraverso santi, uomini e donne del Signore, se donati al prossimo per la gloria di Dio e non di se stessi, sono da considerare in ogni istante un servizio alla fede.
Il miracolo fine a se stesso non appartiene alla Scrittura e non cambia l’uomo nella sua dimensione interiore. Dio, attraverso Mosè, compie le sue grandi opere per piegare il Faraone alla sua volontà, non certo per offrirgli uno spettacolo mai visto prima. C’era bisogno in quel momento storico che l’uomo più potente d’Egitto riconoscesse che il Dio degli Ebrei fosse Signore del cielo e della terra e di tutto ciò che essi contengono. Per questa verità nessuna creatura può disobbedire ad un solo suo comando o non ascoltare la sua voce. “Lo stesso profeta Elia sul monte Carmelo”, leggo in un commento teologico sulle grandi opere dei profeti di Dio, “non fa scendere il fuoco dal cielo, perché vuole strabiliare gli Israeliti, ma perché essi si convincano che solo il loro Dio è il Signore, mentre quello dei falsi profeti è solo un idolo muto, inerte, incapace di qualsiasi cosa”.
Il miracolo è una forza possente che spinge l’uomo, in cerca della luce, di attivarsi nella fede per incontrarsi con il mistero di Cristo. Un arcano senza eguali a cui tutti gli uomini possono accedere. Non vi sono preferenze. Gesù stesso non vuole che si separi il miracolo dal frutto che esso deve produrre: la fede nella sua Parola, nella sua Persona, nel suo mistero, nella sua missione. Per questo chiede al lebbroso guarito di non divulgare il miracolo. È facile cercare i miracoli. Difficile invece è cercare la fede. I miracoli tutti li vogliono. La fede non la vuole quasi nessuno, perché significa cambiare vita; seguire una strada, a volte anche impervia; dire dei no; essere spesso impopolari. Chi non ha fede è solo per scelta personale. È veramente sbagliato, ma anche fuori luogo, imputare su altri la responsabilità dello proprio stare lontano dai principi cristiani.
Succede anche di incolpare un prete, perché scorbutico e antipatico o forse non capace di organizzare gli oratori per i ragazzi e le gite fuori porta per gli anziani. Tutto ciò che un sacerdote riesca ad organizzare, per armonizzare la partecipazione dei propri parrocchiani alla vita sociale, è sicuramente qualcosa di importante e di prezioso, specie in alcune zone dove manca di tutto e di più! I laici stessi possono, partecipando ai consigli parrocchiali, dare il loro diretto contributo, senza stare fermi e criticare. È tuttavia sempre un errore legare la non maturità di un percorso di fede alla mancanza di un progetto sociale del proprio prelato, da realizzare oltre le ore d’approfondimento, catechesi, vita ordinaria della chiesa. Solo chi è in perfetta mala fede può alimentare un simile comportamento. Chiudo con un esempio per ribadire l’importanza del concetto iniziale: Dinnanzi ai “miracoli” è cosa buona andare oltre all’effetto esteriore, così come si comporterebbe un animo nobile e accorto davanti al bellissimo dipinto del pittore olandese Jan Vermeer “La ragazza con l’orecchino di perla”. D’altronde è risaputo che la verità delle cose si trovi sempre al di là di ciò che si vede!
Egidio Chiarella