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Turchia, domani referendum: repubblica parlamentare o repubblica presidenziale?

Claudia Cavaliere
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Turchia, domani referendum: repubblica parlamentare o repubblica presidenziale?
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ISTANBUL, 15 APRILE - Domenica 16 aprile si vota in Turchia per il più importante referendum della sua storia e il cui esito potrebbe cambiarne definitivamente le sorti. Oggetto del voto è l'abolizione dell'attuale sistema parlamentare che ha accompagnato la tradizione politica e democratica del paese negli ultimi 94 anni. [MORE]

Al suo posto verrebbe introdotto un controverso sistema presidenziale, definito "alla turca" da momento che non se ne conosce un esempio simile al mondo e che secondo i critici della riforma segnerebbe l'inizio del governo di un solo uomo al potere. La riforma è stata perseguita già a partire dal 2007 dal presidente Recep Tayyip Erdogan. Ma i seggi parlamentari del partito della giustizia e dello sviluppo (akp, al governo) sono sempre rimasti insufficienti per raggiungere il numero minimo di 330 voti a favore per portare l'emendamento costituzionale a referendum.

Fino allo scorso gennaio, quando il nazionalista mhp (quarto partito del parlamento) ha deciso di approvare la riforma. Da quando è giunto al potere nel 2002, l'akp non ha mai perso una elezione - fatta eccezione per le sole consultazioni del giugno 2015 dove ha avuto il 40,8% dei voti. Anche per questo referendum i sondaggi indicano un simile risultato, ma le possibilità di superare il 50% delle preferenze - quale condizione per l'adozione della riforma - non risulta ancora data per certa, visto che anche il fronte del "no" si mantiene sulla stessa percentuale. Membro della NATO dal 1952 e paese candidato per l'adesione all'UE dal 2005, la Turchia ha subito una profonda trasformazione negli ultimi 15 anni.

Dopo un periodo riformista e improntato ad una maggiore democratizzazione del paese, il governo dell'AKP ha assunto un carattere sempre più nazional-islamista, facendo emergere sempre più la figura del presidente Erdogan come leader indiscusso della politica turca. Uno degli obiettivi del presidente Erdogan è quello di arrivare al 2023, centenario della fondazione della Repubblica, mentre il secondo è di sostituire simbolicamente il fondatore della stessa repubblica, Mustafa Kemal Ataturk. La modernizzazione delle infrastrutture del paese - le autostrade, i treni ad alta velocità, i ponti e i tunnel sotto il Bosforo - i discutibili progetti mastodontici sono stati accompagnati dal sostegno ad cultura conservatrice legata ad una riscrittura della tradizione ottomana e attuata mediante il Direttorato per gli affari religiosi e numerose fondazioni pie, nonché con la trasformazione del curriculum scolastico. Il tutto all'interno di un quadro economico sempre più incerto - dopo anni di crescita.

Nonostante un ruolo essenzialmente rappresentativo e imparziale - secondo i dettami dell’attuale costituzione turca - il presidente della Repubblica ha condotto una strenua campagna referendaria e realizzando comizi ed inaugurazioni in 40 province e partecipando a numerosi programmi televisivi per promuovere la propria riforma. Seguendo i passi di questa campagna referendaria, sembra che l’elettore sia chiamato a scegliere tra una "Turchia forte" e una Turchia in balia delle forze nemiche. Il Paese arriva al referendum dopo un tentato golpe - che ha portato alla morte di oltre 240 persone - e in stato di emergenza, prolungato per la seconda volta fino al prossimo 19 aprile. Gli ultimi mesi hanno finora portato all'arresto di 43mila persone, al licenziamento di oltre 136mila dipendenti pubblici - tra magistrati, docenti delle scuole e universitari, poliziotti e militari - ad almeno 100mila indagati e alla chiusura di centinaia di media e associazioni. 

Fonte immagine sputniknews

Claudia Cavaliere
 

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Scritto da Claudia Cavaliere

Giornalista di InfoOggi

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