Tomahawk all'Ucraina: l’arma che può cambiare la guerra — o farla esplodere
L'ipotesi che Washington possa fornire all'Ucraina missili da crociera Tomahawk sta accendendo nuove tensioni nel già infuocato scenario del conflitto russo-ucraino.
Un'arma con un nome che evoca potenza e precisione, ma che oggi rischia di diventare il simbolo di una guerra che, invece di avvicinarsi alla fine, sembra pronta a entrare in una fase ancora più pericolosa.
I Tomahawk sono missili da crociera in grado di colpire obiettivi a distanze che superano ampiamente il migliaio di chilometri.
In altre parole: se arrivassero davvero a Kiev, il Cremlino si troverebbe improvvisamente vulnerabile anche nelle aree più lontane dal fronte.
Per l'Ucraina sarebbe una rivoluzione tattica.
Per Mosca, un "atto di guerra diretta" da parte dell'Occidente.
Il Cremlino ha già fatto sapere che la consegna dei Tomahawk rappresenterebbe una "linea rossa".
Tradotto: l'inizio di una nuova escalation.
Non più solo guerra in Ucraina, ma possibile scontro allargato — fisico, economico e cibernetico — con ripercussioni in tutto il continente.
Militarmente, l'impiego dei Tomahawk offrirebbe a Kiev un'arma di deterrenza potente: colpire depositi, linee di rifornimento e centri di comando in profondità.
Ma non è un'arma "miracolosa".
Servono addestramento, intelligence di precisione, infrastrutture di lancio sicure.
E ogni lancio, in questo contesto, rischia di avere un effetto politico ancor più esplosivo del danno fisico che provoca.
Se un missile occidentale dovesse colpire un obiettivo civile russo — anche per errore — le conseguenze sarebbero imprevedibili.
Mosca lo userebbe come prova della "guerra diretta" dell'Occidente.
E la NATO si ritroverebbe, volente o nolente, trascinata nel vortice.
L'Europa spettatrice (in)volontaria
Mentre Washington decide se varcare o meno questa soglia, l'Unione Europea rimane prigioniera della sua ambiguità.
Divisa, lenta, dipendente.
Da un lato, sostiene Kiev con dichiarazioni di solidarietà e pacchetti d'aiuti; dall'altro, non possiede né l'autonomia militare né la forza diplomatica per dettare l'agenda.
A Bruxelles si parla spesso di "autonomia strategica europea".
Ma i fatti raccontano altro: i satelliti sono americani, i missili pure, le decisioni chiave vengono prese oltreoceano.
E quando si tratta di negoziare, l'UE arriva quasi sempre dopo gli Stati Uniti — o la Russia.
Il risultato? L'Europa appare come uno spettatore di lusso, in prima fila su un conflitto che la riguarda più di chiunque altro, ma senza il telecomando in mano.
Un rischio esistenziale?
L'eventuale invio dei Tomahawk non è solo una questione militare: è un test politico per l'intero progetto europeo.
Se il continente non riesce a parlare con una voce sola — né in guerra, né in pace — rischia di restare un mosaico fragile, dove ogni Stato difende i propri interessi e la "solidarietà europea" diventa uno slogan più che una strategia.
La guerra in Ucraina, nata come emergenza regionale, sta diventando la prova generale del futuro geopolitico dell'Europa.
O l'Unione trova il coraggio di evolvere — investendo in difesa, diplomazia e indipendenza strategica — oppure finirà per essere risucchiata dai giochi dei grandi, relegata a terreno di scontro tra Washington e Mosca.
Cadere o trasformarsi?
Chi parla di "caduta dell'Europa" non sbaglia nel cogliere il pericolo, ma rischia di fraintenderne la natura.
Non sarà un crollo improvviso, bensì un lento scivolamento: perdita di influenza, dipendenza crescente, sfiducia interna.
Un'agonia silenziosa fatta di crisi successive — economiche, energetiche, migratorie, di sicurezza.
Ma proprio da queste crisi l'Europa potrebbe anche rinascere.
Se saprà usare l'emergenza per fare il salto politico che rimanda da decenni, il vecchio continente potrà uscire più forte, più autonomo, più credibile.
Se invece continuerà a dividersi tra chi vuole difendere e chi vuole trattare, tra chi guarda a Washington e chi teme Mosca, allora sì: la "caduta" sarà solo questione di tempo.
I Tomahawk sono molto più di missili.
Sono un simbolo: di potenza, di alleanze, di scelte irreversibili.
E l'Europa, ancora una volta, è costretta a scegliere da che parte stare — o rischiare di non contare più nulla quando la storia passerà a fare i conti.
E Trump...
Alla luce di tutto questo non è stato portatore di pace come aveva promesso, ma portatore di incertezze e caos, con una politica altalenante fatta di decisioni prese e poi annullate, poi riproposte ancora, avvicinamenti e allontanamenti umorali, spiegabili solo alla luce di una volubilità caratteriologica, che non si addice a chi determina il destino delle genti o con una strategia temporeggiatrice tesa al raggiungimento di fini in medio oriente: tenere la Russia occupata in una guerra di logoramento impedendogli di portare soccorso e aiuti militari alla Palestina in gravissima indicibile sofferenza.
Marco Rispoli (Davoli).
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