Terremoti, scoperta una sorgente di magma sotto l'Appennino meridionale
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BENEVENTO, 9 GENNAIO 2018 - Una nuova causa potrebbe spiegare alcuni eventi sismici avvenuti nell'Appennino meridionale. Secondo uno studio condotto da un team di ricercatori dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e del Dipartimento di Fisica e Geologia dell'Universita' di Perugia (DFG-UNIPG), i terremoti e gli acquiferi dell'Appennino meridionale svelano la presenza di magma in profondità del Sannio-Matese. [MORE]
La scoperta è stata illustrata nel lavoro "Seismic signature of active intrusions in mountain chains", pubblicato su Science Advances, e promette di migliorare le attuali conoscenze della struttura, composizione e sismicità delle catene montuose, sui meccanismi di risalita dei magmi e dei gas e su come monitorarli.
"Le catene montuose sono generalmente caratterizzate da terremoti riconducibili all'attivazione di faglie che si muovono in risposta a sforzi tettonici - spiega Francesca Di Luccio, geofisico INGV e coordinatore, con Guido Ventura, del gruppo di ricerca - "tuttavia, studiando una sequenza sismica anomala, avvenuta nel dicembre 2013-2014 nell'area del Sannio-Matese con magnitudo massima 5, abbiamo scoperto che questi terremoti sono stati innescati da una risalita di magma nella crosta tra i 15 e i 25 km di profondità. Un'anomalia legata non solo alla profondità dei terremoti di questa sequenza (tra 10 e 25 km), rispetto a quella più superficiale dell'area (10-15 km), ma anche alle forme d'onda degli eventi più importanti, simili a quelle dei terremoti in aree vulcaniche".
I dati raccolti hanno permesso di collegare la presenza di anidride carbonica, arrivata in superficie come gas libero o disciolta negli acquiferi di questa area dell'Appennino, con l'intrusione di magma illistrata.
"Questo risultato - aggiunge Guido Ventura, vulcanologo dell'INGV - apre nuove strade alla identificazione delle zone di risalita del magma nelle catene montuose e mette in evidenza come tali intrusioni possano generare terremoti con magnitudo significativa".
"E' da escludere che il magma che ha attraversato la crosta nella zona del Matese possa arrivare in superficie formando un vulcano - aggiunge Giovanni Chiodini, geochimico dell'INGV - Tuttavia, se l'attuale processo di accumulo di magma nella crosta dovesse continuare non è da escludere che, alla scala dei tempi geologici (ossia migliaia di anni), si possa formare una struttura vulcanica".
"I risultati fin qui raggiunti", conclude Di Luccio, "aprono nuove strade non solo sui meccanismi dell'evoluzione della crosta terrestre, ma anche sulla interpretazione e significato della sismicità nelle catene montuose ai fini della valutazione del rischio sismico correlato".
Durante lo studio sono stati raccolti dati sismici e geochimici e sviluppati modelli sulla risalita dei fluidi. La ricerca è iniziata con l'analisi della sismicità della sequenza del Sannio-Matese, per poi concludersi con la modellazione delle condizioni di intrusione magmatica. La conoscenza dei segnali riconducibili alla risalita di magmi in zone non vulcaniche deve essere ancor estesa ad altre grandi catene come l'Alpino-Himalayana, Zagros (tra Iraq e Iran), le Ande e la Cordigliera Nord-Americana.
Daniele Basili
immagine da ingv.it