Terapia occupazionale-Spazio Alzheimer
Salute Lazio Roma

Terapia occupazionale-Spazio Alzheimer

domenica 22 gennaio, 2012

FIRENZE, 22 GENNAIO 2012- Creare in cucina, rivivere le tradizioni anche attraverso sapori e profumi che ricordano storie lontane, che raccontano i momenti della nostra vita, della nostra infanzia. Per chi è ormai anziano e, per di più, affetto da una patologia neurodegenerativa , queste sembrano cose ormai relegate in un passato che non tornerà mai più; abilità perse per sempre in modo irreversibile.

Invece tutto questo è possibile anche per gli anziani che soffrono di demenze, come gli ospiti dello Spazio Alzheimer e Demenze Neurodegenerative di via Fares, gestito dall’associazione Ra.Gi Onlus, che all’interno del Laboratorio di Terapia Occupazionale portato avanti dalla responsabile, Manuela Pascente, hanno realizzato dei dolci tipici del Carnevale, le “chiacchiere”. Attraverso una metodologia che tende a promuovere non un percorso di guarigione della malattia, bensì il benessere dei pazienti inteso anche come diminuzione della distanza tra ciò che la persona vorrebbe essere e ciò che la persona di fatto è, all’interno dello Spazio Alzheimer e Demenze Neurodegenerative della Ra.Gi, si cerca di far raggiungere al paziente il miglior livello funzionale possibile, cercando di mantenere e potenziare il più possibile le abilità che il malato conserva ancora. “Considerando il fatto che nel caso delle demenze non abbiamo una cura in grado di portare alla guarigione, è assai importante soffermarsi sull’aspetto del prendersi cura che si nasconde in ogni approccio terapeutico”, afferma Elena Sodano, presidente della Ra.Gi.

“Con il termine terapie non farmacologiche ci riferiamo a tutti quegli interventi che si dimostrano efficaci nel migliorare la qualità di vita del paziente, andando ad incidere sui sintomi comportamentali, su quelli cognitivi, sulle persone (caregivers) e sull’ambiente”, prosegue la Sodano. [MORE]

“L’approccio terapeutico alle demenze”, conclude la presidente, “deve prendersi cura del paziente, sostenerlo, accompagnarlo, laddove possibile fornirgli strumenti per affrontare le differenti fasi, deve consentirgli l’espressione delle sue capacità residue, motivarlo a rimanere in contatto”.

Guidati dalla dottoressa Pascente e dagli operatori di supporto, dunque, gli ospiti del Centro di via Fares si sono riscoperti abili pasticceri, attenti al dosaggio degli ingredienti e impegnati a mescolarli insieme e a manipolare la pasta con l’opportuno utilizzo degli appositi utensili da cucina; collaborando anche tra loro con consigli e suggerimenti sui procedimenti da adottare e sul dosaggio corretto degli elementi. Quelle ore, allietate anche dall’ascolto di brani retrò, hanno riportato i pazienti indietro nel tempo, fino agli allegri momenti di vita domestica vissuti in cucina quando le donne erano intente a cuocere i cibi della tradizione. “Il risveglio dei ricordi lontani, anche attraverso un processo di stimolazione sensoriale, è stato uno degli intenti del laboratorio”, ha affermato la Pascente. “Il Gentlecare, metodo di cura e di sostegno alla persona affetta da demenza introdotto in Italia da Moyra Jones, è, inoltre, il criterio applicato al mio laboratorio.

Esso nasce da un approccio di tipo riabilitativo dopo aver valutato l'impatto della malattia sulla persona e aver condotto un accurato bilancio delle abilità che il paziente ha perduto e delle abilità che il paziente ha conservato”, ha proseguito la terapista. “Col progredire della patologia (nel caso di morbo di Alzheimer), i malati diventano dapprima incapaci di svolgere correttamente le ‘attività strumentali’, come l'uso dei mezzi di trasporto o del telefono, e successivamente le ‘attività di base’ della vita quotidiana, come vestirsi, andare alla toilette, alimentarsi. Spesso appaiono demoralizzati, spaesati, portati alla commozione ed al pianto; si avverte in loro un graduale cambiamento della personalità con tendenza all'apatia o all'irrequietezza e all'aggressività. Gli obiettivi del Gentlecare”, ha proseguito la Pascente, “sono quelli di promuovere il benessere della persona, risolvere o controllare i problemi comportamentali, ridurre lo stress di chi assiste; limitare l'utilizzo di mezzi di contenzione fisica e/o farmacologica.

Attività come quella della realizzazione di dolci, hanno dimostrato di avere un ottimo impatto sui pazienti, che si sentono utili, attivi, ancora capaci di realizzare qualcosa. Questo genera in loro buonumore, diminuisce i sintomi della malattia e aumenta l’autostima.

Nella foto, la terapista occupazionale della Ra.Gi, Manuela Pascente.


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