«Il potere logora chi non ce l'ha».Giulio Andreotti, il politico più discusso della Prima Repubblica
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FIRENZE, 06 MAGGIO 2013- Sette volte Presidente del Consiglio, otto volte ministro della Difesa; cinque volte ministro degli Esteri; tre volte ministro delle Partecipazioni Statali; due volte ministro delle Finanze, ministro del Bilancio e ministro dell'Industria; una volta ministro del Tesoro, ministro dell'Interno (il più giovane della storia repubblicana, a soli trentaquattro anni), ministro dei beni culturali (ad interim) e ministro delle Politiche Comunitarie Senatore a vita della Repubblica. Questo interminabile curriculum vitae è appartenuto a Giulio Andreotti, un uomo che ha fatto della politica uno stile di vita. Esponente di spicco delle Democrazia Cristiana ha incarnato una delle correnti più influenti del partito. La sua storia è indissolubilmente legata a numerose vicende della Prima Repubblica.
Nato a Roma il 14 gennaio 1919, frequentò il ginnasio "Visconti" e il liceo al "Tasso" e nel 1941 si laureò a pieni voti in Giurisprudenza. Andreotti, già membro della Federazione Universitaria Cattolica Italiana (associazione cattolica riconosciuta dal regime fascista), spiegò così il suo avvicinamento alla politica : « [...] stavo studiando diritto della navigazione, andai in biblioteca e un impiegato mi disse: «Lei non ha niente di meglio da fare?». Io mi seccai un po'. Qualche giorno dopo mi chiama Spataro, che era stato presidente molti anni prima, e stava riorganizzando la Democrazia Cristiana, e ci ritrovo quel signore dei libri che mi dice: "De Gasperi vuole il suo nome". [...] De Gasperi io non lo conoscevo. Mi venne detto: "Vieni a lavorare con noi". Allora ho cominciato, e non era affatto nei miei programmi. Poi, si sa, la politica è una specie di macchina nella quale se uno entra non può più uscirne. »
Lo stesso De Gasperi avrebbe confidato sul giovane Giulio «Un ragazzo talmente capace a tutto, che può diventare capace di tutto» (http://www.tg1.rai.it/dl/tg1/2010/articoli/ContentItem-7d6c4d60-fad3-4a95-a526-4261ac2ddeab.html). La sua folgorante carriera politica (fu eletto deputato nel 1948) lo portò nei primi anni sessanta alla carica di ministro della Difesa quando esplose lo scandalo dei fascicoli SIFAR e del Piano Solo. Nel 1972, Giulio Andreotti diventa per la prima volta Presidente del Consiglio, incarico che ricoprì fino all’anno successivo. Negli anni seguenti ricoprì altre importanti cariche istituzionali. Nel ruolo di Ministro della Difesa, rilascia una famosa intervista a Massimo Caprara con cui rivela le coperture istituzionali dell'indagato per la strage di piazza Fontana, Guido Giannettini (Andreotti sarà prosciolto, nel 1982, dall'accusa di favoreggiamento nei confronti di Giannettini).
Dopo l’exploit elettorale del Partito comunista italiano nel 1976 e il corollario del tentativo di un compromesso storico, Andreotti fu il prescelto per guidare il primo esperimento in questa direzione: egli varò nel luglio del 1976 il suo terzo governo, detto della "non sfiducia" perché, pur essendo un monocolore, potè contare sull'astensione dei partiti dell'"arco costituzionale". Poi venne il 16 marzo 1978 con il rapimento di Aldo Moro e i lunghi e angoscianti 55 giorni di prigionia. Andreotti rifiutò qualsiasi trattativa appoggiando la cosiddetta linea della fermezza. Nelle sue lettere dalla prigionia, Moro riservò giudizi durissimi sull’amico Giulio.
Dopo l'omicidio di Aldo Moro, nel maggio del 1978, l'esperienza della solidarietà nazionale proseguì per circa un anno. Nel 1983 fu nominato Ministro degli Esteri nel primo governo Craxi, incarico che mantiene nei successivi governi fino al 1989. In questa fase i rapporti fra Craxi e la Democrazia Cristiana, erano piuttosto tesi. Gli scontri fra il carismatico leader socialista e il segretario democristiano Ciriaco De Mita erano frequenti, tanto che la stampa parlò dell'esistenza del triangolo CAF (Craxi-Andreotti-Forlani): quando tale presunta intesa sottrasse a De Mita la guida del governo, nel 1989, fu chiamato nuovamente alla presidenza del Consiglio, incarico che resse fino al 1992. Il 23 maggio di quello stesso anno mentre erano in atto le votazioni per eleggere il Presidente della Repubblica (Andreotti era tra i “papabili”, poi, come noto, la spuntò Oscar Luigi Scalfaro) si verificò in tutta la sua brutalità la strage di Capaci, in cui persero la vita Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli agenti della scorta. Due mesi era stato assassinato a Palermo Salvo Lima, della medesima corrente di Andreotti. Queste considerazioni, probabilmente, spinsero la Dc a presentare altre candidature per il futuro Capo dello Stato.
Rimasto illeso dopo l’uragano di Tangentopoli, nel 1993, in seguito alle rivelazioni di alcuni pentiti, venne indagato come mandante dell'omicidio Pecorelli dalla Procura di Perugia. Sarà assolto definitivamente dalla Corte di Cassazione dieci anni dopo.
I rapporti con Cosa Nostra furono al centro di infuriate polemiche e vicende giudiziarie. Andreotti è stato sottoposto a giudizio a Palermo per associazione per delinquere. Mentre la sentenza di primo grado, emessa il 23 ottobre 1999, lo aveva assolto perché il fatto non sussiste, la sentenza di appello del 2 maggio 2003, distinse il giudizio tra i fatti fino al 1980 e quelli successivi, e stabilì che Andreotti aveva «commesso» il «reato di partecipazione all'associazione per delinquere» (Cosa Nostra), «concretamente ravvisabile fino alla primavera 1980», reato però «estinto per prescrizione». Per i fatti successivi alla primavera del 1980 Andreotti è stato invece assolto. Celebre il racconto del pentito Baldassare Di Maggio che riferì di un bacio di cordiale saluto tra Andreotti e Totò Riina. Una circostanza, tuttavia, mai provata.
Accuse e sospetti lo hanno interessato circa le sue (presunte) relazioni con la loggia P2, e con alcuni individui legati ai più oscuri e inquietanti misteri della storia repubblicana dal Golpe Borghese al Caso Sindona passando per l’omicidio del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Un personaggio che si distinse per la sua pacatezza e per il self control , stile anglosassone, nonostante i veementi attacchi a cui è stato sottoposto. Frasi divenute ormai storiche come «Il Potere logora chi non ce l’ha», «La cattiveria dei buoni è pericolosissima» e «I miei amici che facevano sport sono morti da tempo» aiutano a tracciare il profilo umano più che politico di Andreotti. Colto, pungente, ironico e straordinariamente intelligente, forse troppo. Un uomo indecifrabile e, a tratti, inquietante, che fu uno dei protagonisti indiscussi della Prima Repubblica.
Dopo la sua dipartita, avvenuta oggi, risulta difficile pensare che sarà ricordato solo per il suo prolifico impegno politico-istituzionale. Un perseguitato o un mascalzone? Ai posteri l’ardua sentenza. Aldo Moro, di certo, dalla sua drammatica prigionia nel covo delle Brigate Rosse sembrava avere le idee chiare, avrebbe infatti scritto rivolgendosi a Giulio Andreotti (Comm. Moro, 149-155; Comm. stragi, II 360-380) «Lei uscirà dalla Storia [...] e passerà alla triste cronaca che le si addice».[MORE]
Davide Scaglione