Siria, torture sui detenuti. La denuncia di Amnesty a un anno dall'inizio della rivolta
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DAMASCO, 14 MARZO 2012 – Trentuno metodi di tortura e maltrattamenti diversi praticati dalle forze di sicurezza, dai militari e dalla Shabiha (bande armate filo-governative) ai danni dei detenuti arrestati nel corso della rivolta siriana. È quanto documenta Amnesty International nel rapporto pubblicato questa mattina, alla vigilia dell'anniversario dello scoppio delle proteste di massa nel Paese, Volevo morire: parlano i sopravvissuti alla tortura in Siria, mentre l'Onu negli scorsi giorni ha riferito di oltre ottomila morti dall'inizio della rivolta. Il rapporto è stato realizzato dall'associazione umanitaria raccogliendo i racconti di vittime e testimoni incontrati nel febbraio di quest'anno in Giordania.
I racconti dei sopravvissuti sono raggelanti e documentano sistematiche e reiterate violazioni dei diritti umani ai danni dei detenuti. Pestaggi durante gli arresti, accoglienza nei centri di detenzione con “feste di benvenuto” (Haflet Al-Istiqbal) durante le quali le vittime venivano colpite con pugni, percosse, bastonate, colpi con il calcio del fucile e frustate. Le violenze si inasprivano durante gli interrogatori, diventando vere e proprie torture. Amnesty ha documentato almeno tre metodi di tortura con scariche elettriche: sottoposti a pungoli elettrici; seduti su una “sedia elettrica” con elettrodi applicati sul corpo; oppure le scariche elettriche venivano rilasciate dopo aver bagnato il pavimento o il corpo della vittima con l'acqua.[MORE]
Karim, uno studente di 18 anni, ha raccontato che mentre veniva interrogato dai servizi segreti presso la sede dell'Aeronautica di Dera'a, i carnefici gli hanno strappato la pelle delle gambe con le tenaglie. Molti sopravvissuti hanno riferito di essere stati sottoposti alla tecnica del Dulab (pneumatico), mediante la quale la vittima viene infilata all'interno di uno pneumatico da camion sospeso da terra e picchiato con cavi e bastoni. Altri hanno testimoniato di aver subito la tortura dello Shabeh: il detenuto viene appeso ad un gancio con i piedi penzolanti e le dita che sfiorano appena il pavimento, e picchiato in questa posizione.
«Le testimonianze che abbiamo ascoltato – ha dichiarato Ann Harrison, vicedirettrice ad interim del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty - descrivono dall'interno un sistema di detenzione e interrogatori che, a un anno dall'inizio delle proteste, ha il principale obiettivo di degradare, umiliare e mettere a tacere col terrore le vittime»
Testimonianze che, secondo Amnesty, sono un'ulteriore prova dei crimini contro l'umanità compiuti in Siria. L'associazione, attraverso una nota diffusa questa mattina, fa sapere di aver chiesto al Consiglio Onu dei diritti umani di prorogare il mandato della Commissione d'inchiesta delle Nazioni Unite sulla Siria e rafforzare la sua capacità di effettuare monitoraggio, documentare e denunciare in vista della possibile incriminazione dei responsabili di crimini di diritto internazionale e altre gravi violazioni dei diritti umani, sollecitando la formazione di un team internazionale di investigatori e procuratori per garantire maggiori probabilità di arrestare i presunti responsabili.
(immagine dal rapporto I wanted to die: Syria's torture survivors speak out)
Serena Casu