SIAARTI: dibattito sulla medicina di genere per una migliore risposta terapeutica
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PARMA - “Differenze di genere”. E’ un’espressione che ricorre sempre più spesso nei titoli di articoli e di progetti di ricerca in ambito biomedico. Eppure solo qualche anno fa tale riferimento era considerato inappropriato, quasi offensivo! Storicamente, la ricerca in medicina si è dichiarata neutrale rispetto al genere, riconoscendo una specificità alle donne solo in relazione alla riproduttività.[MORE]
“OggiAggiungi un appuntamento per oggi, a partire dai primi studi svolti negli USA, anche nel nostro Paese c’è un crescente riconoscimento di questo filone di ricerche, afferma Antonella Vezzani, Servizio di Anestesia e Rianimazione, Azienda Ospedaliero Universitaria di Parma, che trova pieno riconoscimento anche al 64° Congresso Nazionale della SIAARTI, Società Italiana di Anestesia e Analgesia e Rianimazione, in corso di svolgimento a Parma, che alla medicina di genere dedica un’intera sessione. Gli anestesisti si pongono nuove domande circa la risposta dei pazienti alle terapie e c’è un movimento molto attivo che sottolinea l’importanza di sesso e genere per una medicina che vuole essere sempre più personalizzata”. La comunità medica ha da tempo riconosciuto la validità scientifica di queste tesi che rimettono in discussione sia il trattamento terapeutico, le posologie e l’inquadramento della patologia in considerazione del sesso e del genere.
Oltreoceano il Dipartimento di Salute Pubblica americano ha inserito la medicina di genere nell'Equity Act a testimonianza che il principio di equità implica che la cura sia appropriata e sia la più consona al singolo genere.
Per i non addetti ai lavori forse è utile spiegare che sesso e genere, che nel comune parlare si tende a far coincidere, in medicina sono due concetti diversi.
Il sesso si riferisce alle differenze biologiche tra uomini e donne e comprende l’anatomia, la fisiologia, gli ormoni e il patrimonio genetico che insieme costruiscono l’imballaggio umano che determina se saremo etichettati maschi o femmine. Il genere può essere inteso come la totalità dei tratti di personalità, delle attitudini, dei sentimenti, dei valori, dei comportamenti e delle attività che la società attribuisce ai due sessi su basi differenti.
“Il sesso gioca un ruolo importante per la salute perché gli individui possono reagire in modo diverso sulla base della loro biologia – aggiunge Vezzani - ad esempio maschi e femmine rispondono diversamente all’alcool ai farmaci e alle droghe per differenze nella composizione corporea, nel metabolismo e negli ormoni. Ci sono anche delle differenze sesso specifiche in alcune malattie ad esempio c’è una maggior incidenza di malattie autoimmuni nelle donne, mentre le infezioni gravi colpiscono più gli uomini. Ma ci sono importanti differenze sessuali a livello cellulare che nascono dalle differenze cromosomiche”.
Il genere influenza lo stato di salute: ad esempio la mascolinità si associa, nella nostra società con “resistenza” che significa che gli individui mascolini (siano essi maschi o femmine) tendono a resistere e a non cercare aiuto per problemi riguardanti la salute. D’altra parte la femminilità si associa con “delicato” che può scoraggiare le donne a partecipare a certe attività fisiche che potrebbero migliorare il loro stato di salute.
Il sesso e il genere interagiscono e possono influenzare lo stato di salute. Lo sviluppo e la progressione dell’osteoporosi illustrano la complessità di questa interazione. Il corpo femminile è più predisposto all’artrite e all’osteoporosi dovuto a differenze nella struttura e nella densità dell’osso, e agli ormoni. Nello stesso tempo il ruolo femminile non incoraggia le donne alla attività fisica, con conseguente aumento del rischio di sviluppare osteoporosi e osteoartriti. Inoltre le donne si sottopongono a continue diete per inseguire l’idea “femminile” del loro aspetto fisico che impoverendo la massa magra, aumentano il rischio di sviluppare osteoporosi. Anche la depressione colpisce più le donne degli uomini e i disturbi alimentari sono un esempio di come lo stress e i fattori ambientali possano influire sulla comparsa della malattia.
Ma il problema si pone dalle prime fasi cliniche della ricerca per la messa a punto di nuovi farmaci infatti queste recenti scoperte enfatizzano la necessità di includere maschi e femmine nella ricerca clinica e biomedica e studiare i risultati della ricerca disaggregando i dati per il sesso, ma alcuni autori suggeriscono la necessità di realizzare studi specifici per il sesso maschile e per il sesso femminile. Ignorare l’influenza del sesso nella ricerca – conclude Vezzani - può compromettere non solo l’iniziativa sperimentale, ma anche la salute degli individui.
Il prototipo dei soggetti destinatari della ricerca clinica è tuttora rappresentato dal soggetto maschio e adulto. Questo determina che lo studio delle malattie e la loro cura avviene con una preferenza per il genere maschile. Ciò implica che alle donne non viene, di norma, assicurato lo stesso diritto di riconoscimento di una malattia e di accesso ad una terapia “efficace e sicura” come le norme nazionali ed europee in linea di principio, intendono garantire. In particolare va considerato che sono proprio le donne le più grandi consumatrici di farmaci e le reazioni avverse sono più frequenti e più gravi nel sesso femminile. Probabilmente alla maggior gravità ed alla maggiore frequenza di reazioni avverse nelle donne concorrono tutta una serie di fattori, quali il sovradosaggio, (la posologia dei farmaci è stimata sul soggetto di peso medio maschio (70Kg) ma le donne hanno un peso medio molto più basso) le differenze farmacodinamiche e farmacocinetiche (alcuni farmaci si distribuiscono maggiormente nel tessuto adiposo e le donne hanno un % di tessuto adiposo superiore agli uomini) , la loro esclusione dai trials, la politerapia.
Purtroppo raramente gli studi clinici sono disegnati in maniera da permettere un’analisi di genere. Inoltre, l’assenza delle donne nei trials clinici dipende da diversi fattori: difficoltà nel reclutamento e nel mantenimento di donne nei trias clinici; preoccupazioni circa le interferenze indotte dalle variazioni ormonali fisiologiche femminili sull’effetto delle sostanze farmacologiche; desiderio di non esporre a rischi di tossicità donne potenzialmente fertili; timore di apportare danni a tessuti fetali. Sfortunatamente se un farmaco non è espressamente testato nelle donne non esiste modo di conoscere quali saranno le reali condizioni di efficacia e di sicurezza nelle donne.