Separazione dei genitori... la drammatica reazione di Chiara
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Mi colpisce per la sua aria assorta; è una ragazza deliziosa, il suo corpo minuto è proporzionato e armonioso. Mi avvicino con discrezione:
«Ciao, mi chiamo Antonia, sto scrivendo un libro sull’adolescenza e vorrei che tu mi dessi qualche spunto raccontandomi come stai vivendo questo periodo della tua vita».
«Ciao Antonia, io sono Chiara… che cosa vuoi sapere?».
L’espressione è malinconica e il suo sorriso a volte forzato.
«Tutto quello che può interessare ai tuoi coetanei, per esempio: i rapporti con le tue amiche, con la tua famiglia e con la società».
Chiara si guarda intorno molto spesso, rigirando fra le mani il cellulare.
«Non ti conosco e non capisco perché dovrei raccontarti i fatti miei» mi risponde, indifferente. Il suo volto da bambina ha un’aria pulita. Quello che mi colpisce è il suo sguardo; il colore degli occhi è cangiante, con le sue sfumature di verde ricorda l’acqua del mare.
Lo zaino nero, poggiato sulla panchina, è pieno di dediche e adesivi colorati.
«Come ti ho detto sto scrivendo un libro sull’adolescenza, e tu sei una delle ragazze che vorrei intervistare…».
«Mi attira il tuo sguardo intelligente!» concludo, rispondendo diplomaticamente alla sua domanda.
«Mi assicuri che sarà una conversazione anonima?».
Percepisco nella sua voce un certo interesse; con la testa faccio cenno di sì.
«Va bene, fai le domande».
Mi sistemo sulla panchina e la invito a sedersi accanto a me; mentre accendo il registratore le riconfermo che rispetterò il segreto sulla sua identità.
«Adesso dimmi quanti anni hai e poi racconta la tua storia».
Lei si siede e mi guarda curiosa… Poi incomincia il suo racconto:
«Ho quindici anni, e vivo con mia madre e il suo compagno».
Mi guarda, cerca di capire se questo basta. Le arriva un messaggio sul telefonino e si estrania; adesso la sua attenzione è tutta concentrata sul piccolo display luminoso. Risponde scrivendo velocemente… poi aspetta ansiosa la risposta, continuando a scorrere i precedenti messaggi, senza degnarmi della minima attenzione. Io rimango in silenzio guardandomi intorno. Arriva la risposta e lei, nel leggerla, ha uno scatto nervoso; fa una chiamata, e quando l’interlocutore è in linea esclama:
«Cazzo! Anche oggi mi hai dato buca… Come faccio, adesso, con il compito in classe?».
Mentre parla gesticola con la mano libera e cammina avanti e indietro nervosamente. È fuori di sé.
«Mi avevi promesso che mi avresti portato il compito scritto, e io non ho studiato. Come faccio adesso? Ricordati che se mi fai questo con me hai chiuso!».
Per alcuni istanti rimane silenziosa in ascolto; poi il suo viso si illumina di un sorriso trionfante… sembra molto soddisfatta della risposta.
«Ok, vieni» dice «ti aspetto qui davanti alla scuola».
Riattacca. Ha il volto più disteso… e, finalmente, si ricorda di me.
«Torniamo a noi?» le chiedo con un sorriso accattivante.
«Sì, ok… dov’ero rimasta?».
«All’inizio del racconto».
«Dopo la separazione dei miei genitori, mia madre era diventata il mio punto di riferimento. Dormivamo insieme nel lettone, e questo probabilmente compensava un po’ in entrambe la mancanza di papà.
Mio padre, stando a quello che racconta la mamma, non era un marito perfetto… era un donnaiolo e uno sfaticato; la trascurava, preferendo dedicare il suo tempo alle nuove conquiste anziché alla famiglia. A causa sua, la mamma ha attraversato un lungo periodo di depressione, durante il quale incominciò a frequentare un suo collega di lavoro. Un giorno, dopo l’ennesima litigata, urlò a papà che voleva il divorzio, intimandogli di andare via di casa. Per me fu un fulmine a ciel sereno… il mondo mi crollò addosso! Ma, come tutti i figli che vivono una situazione di questo tipo, mi aggrappai alla speranza che tutto si sarebbe risolto.
‘Non può capitare a me’ pensavo ‘il mio papà ci ama e non ci lascerà mai’. Invece se ne andò senza grandi proteste, come se anche lui volesse ormai chiudere quella storia il più presto possibile! Dopo qualche mese mamma mi presentò il suo amico e da quel giorno lo vidi sempre più spesso.
Lucio è una persona dolce e tranquilla, molto educata, e quando eravamo insieme con la mamma stava attento ad evitare comportamenti che avrebbero potuto mettermi in imbarazzo. Ci stavo bene…».
Si interrompe di colpo vedendo arrivare la sua amica in motorino, si alza di scatto dalla panchina e mi pianta in asso, correndole incontro a braccia tese. L’amica si toglie il casco e, tirando fuori dalla tasca del giubbotto un foglio, lo porge a Chiara, che lo prende abbracciandola con trasporto. La ragazza riparte subito e Chiara, dopo aver dato un’occhiata al foglio, torna da me.
«Adesso devo entrare. Ho il compito in classe» mi dice, caricandosi sulle spalle lo zaino.
«Ti posso aspettare?».
«Ok, ci vediamo dopo!» risponde, correndo verso l’entrata.
Compro un giornale ed entro nel bar sotto la scuola; mi siedo a un tavolino e aspetto che Chiara finisca la lezione.
La vedo uscire dopo qualche ora insieme ai suoi compagni di classe, fra strilli e schiamazzi. Il suo viso è sereno e sorridente… segno che il compito è andato bene.
Per un attimo penso che si sia dimenticata di me… invece mi cerca con lo sguardo, saluta le sue amiche con qualche bacetto e mi raggiunge. Mi si siede accanto e, mentre io le chiedo cosa posso ordinare per lei, tira fuori dallo zaino un panino e si mette ad addentarlo voracemente…
«Una coca» mi chiede, senza smettere di masticare.
Portano la coca, riaccendo il registratore. È tardi, e anch’io ho fame.
Chiara riprende il filo del discorso dal punto in cui lo aveva interrotto:
«Soffrii molto quando Lucio si stabilì a casa nostra; un conto era vederlo ogni tanto… altro era accettare che prendesse il posto di mio padre! Vivere accanto all’uomo che era stato l’artefice della rovina della mia famiglia è stata dura; mi ha molto aiutata mia madre che, con la sua dolcezza e il suo amore, mi ha fatto capire che sarei rimasta sempre la persona più importante della sua vita. Anche il suo nuovo compagno, con attenzione e garbo, fece del suo meglio per farsi accettare. Così provai a convivere con quella nuova situazione, ripetendomi che non avevo altra scelta, e costruendomi a fatica una diversa, precaria tranquillità, fino al giorno in cui mia madre mi annunciò, con aria felice:
‘Tesoro, ti devo parlare’.
Malgrado l’espressione radiosa, i suoi gesti erano nervosi e goffi… e sapevo che le succedeva quando era a disagio.
‘Dai mamma, spara! Cosa devi dirmi di così importante?’
Lei chiuse gli occhi e, stringendomi con forza una mano, mi comunicò:
‘Amore, sono tanto felice… Stiamo per regalarti una sorellina!’
In quel momento sentii un tonfo sordo dentro di me… Era il mio mondo che mi crollava addosso, senza darmi il tempo di mettermi al riparo».
Chiara tira fuori un pacchetto di sigarette e ne accende una; la mano con cui tiene l’accendino le trema visibilmente.
«Cazzo - pensai - questa stronza è incinta. Non le risposi, la guardai disgustata, e vidi che il sorriso le si spegneva sul volto, lasciando il posto a un’espressione di sgomento.
‘Mamma… vaffanculo!’ le gridai con rabbia. Voltandole le spalle, raccattai il giubbetto e lo zaino che avevo appena poggiato all’ingresso e uscii di casa.
La mamma cercò di rincorrermi, di fermarmi.
‘Amore, aspetta!’ gridava disperata. Io ero già per le scale.
Arrivata in strada, cercai di mettermi in contatto con mio padre. Il suo telefono squillò invano per molte volte. Papà, quando non vuole grane, non risponde. Dato che lui mi considera una grana, molto spesso le mie chiamate vanno a vuoto. Spensi anche il mio cellulare: non volevo più sentire nessuno!
I miei occhi erano pieni di lacrime e il mio cuore gonfio di amarezza. Avevo sofferto molto quando Lucio era entrato in casa nostra; adesso, scoprire che mamma aspettava un figlio da lui mi feriva profondamente. Mi sentivo tradita, truffata, abbandonata; il fragile fortino che avevo eretto intorno a me era stato demolito.
Andai ai giardini pubblici, dove ero sicura di trovare qualche amico. Infatti, seduto su una panchina, c'era il Gringo. Non era mio amico ma lo conoscevo; era uno studente del terzo anno, frequentava il mio gruppo. Si chiamava Mirko. L’avevo sempre considerato un ragazzo da evitare perché spacciava fumo.
‘Ciao Chiara, come ti va?’ mi chiese, sorpreso di vedermi da sola ai giardinetti ad un’ora così insolita.
‘Di merda!’ gli risposi, con gli occhi pieni di lacrime.
‘Sto andando a mangiare un panino, mi fai compagnia?’
Credo si aspettasse che, come al solito, lo avrei tenuto alla larga. Invece dissi: ‘Perché no?’, e la domanda, più che a lui, era rivolta a me stessa. Mentre ci avviavamo al chiosco dei panini, lo guardavo curiosa. Non era brutto, anzi avrebbe potuto essere uno dei ragazzi più carini del gruppo se non fosse stato per i tatuaggi, per il suo modo di vestire e per la cresta colorata sulla testa.
‘Tieni, sono sicuro che sei digiuna’ mi disse porgendomi un panino che io afferrai e portai subito alla bocca. Avevo fame: mia madre mi aveva comunicato la bella notizia appena ritornata da scuola.
Mirko cercò una panchina isolata e ci sedemmo. Mi porse una lattina di coca e divorò con gusto il suo panino.
‘Sputa: che cazzo ti hanno fatto per spingerti a scappare di casa?’ mi domandò curioso, mentre arrotolava una cartina con dell’erba da fumo.
‘E chi ti dice che sono scappata di casa?’ gli chiesi, indispettita da tanta sicurezza.
‘Credo di conoscere le ragazzine come te… Quando siete protette dal vostro guscio vi sentite superiori, e frequentate i ragazzi frocetti che piacciono ai vostri genitori; poi, quando la vostra vita finta e ipocrita si rivela una fregatura, scappate via e vi degnate di dar confidenza a noi poveri emarginati.
So che tua madre ti ha portato in casa il suo amante… Hai sbroccato, vero?’
‘Smettila di impicciarti e fammi fare un tiro’.
‘Sei sicura? Non voglio grane con i tuoi!’ rispose sorridendo, anzi sghignazzando.
‘È la prima volta che fai un tiro?’ mi domandò divertito, porgendomi la canna.
‘Fai troppe domande, Gringo’.
Mentre portavo lo spinello alla bocca, lui mi fermò: ‘Aspira con calma, rilassati’.
La prima cosa che sentii fu uno strano odore che sembrava di rosmarino. Poi avvertii una sensazione di rilassamento; mi veniva da ridere e parlavo senza capire il senso delle mie stesse parole; avevo voglia di ridere e di non pensare a ciò che stavo facendo. Quello stato di leggerezza durò per un po’, poi tornai normale.
‘Vieni, andiamo al bar, qui incomincia a far freddo’ disse Mirko afferrandomi per mano. Mi liberai della sua stretta ma lo seguii.
Appena entrati nel bar mi prese un attacco di panico. Il mio corpo era scosso da brividi e avevo paura di tutto. Scappai e tornai a casa tremante.
Mia madre non c’era, ed io mi chiusi in camera. Quando mamma rientrò venne a bussare alla mia porta.
‘Chiara, apri… Mi hai fatto stare molto in ansia, ti ho cercata dappertutto. Perché hai spento il cellulare?’
La sua voce era rotta dall’angoscia e dal pianto. Io ero contenta che fosse disperata. ‘Cosi impari a fare figli!’ pensai.
‘Non volevo sentirti!’ le risposi con cattiveria.
‘Vieni a tavola, la cena è pronta!’ m’implorò.
‘Lascami stare, non ho fame, voglio solo dormire’.
Avevo paura che, guardandomi, potesse capire quello che avevo fatto.
La mattina dopo avevo le occhiaie e la faccia sconvolta; avevo dormito poco. Tutta la notte col cuore che mi batteva a mille, una tachicardia da paura. La mamma, quando mi vide, si spaventò.
‘Che cos’hai, amore? Stai male?’
Sopraggiunse un altro attacco di panico e mi misi a tremare.
Quel giorno mamma mi permise di rimanere a casa.
Ero furiosa con me stessa; mi angosciava il fatto che il fumo, anziché aiutarmi, mi avesse causato quei problemi. Il giorno dopo ne parlai con Mirko; mi assicurò che con una tirata di neve sarebbe stato diverso. A quelle parole sentii un brivido percorrermi tutto il corpo.
‘Così mi rovino, divento una tossica! Non lo farò mai!’ mormorai angosciata.
‘Senti piccola, io mi sono fatto per quattro anni, dopo che è morto mio padre. Un anno fa ho deciso di smettere e, come vedi, non sono un tossicodipendente. Puoi smettere quando vuoi, ma quando ti fai stai in paradiso, dimentichi tutti i problemi’.
Io stavo molto male, anche psicologicamente. Con quella notizia, mia madre aveva compromesso il mio equilibrio mentale.
‘Ho paura… e poi non ho soldi!’
Lui estrasse da una tasca dello zaino un pacchettino, l’apri e ne prese tre pasticche, che mi porse.
Tieni: queste te le regalo io… È come prendere una valeriana: è roba leggerissima, non ha effetti dannosi e non crea dipendenza. Ingoiane una quando stai male, vedrai che ti aiuterà a superare tutto.
Presi in mano quelle pasticche, con la convinzione che non ne avrei mai fatto uso.
La domenica seguente Lucio era a pranzo da noi (di solito, quando non aveva impegni, passava le domeniche nella sua casa di campagna per dare a me e a mia madre la possibilità di stare insieme da sole). Mentre mamma era in cucina a preparare la colazione, io andai in bagno per fare la doccia. Ero nuda, e tutto avvenne in pochi minuti. Non fu un piano premeditato, la molla mi scattò quando sentii la porta della stanza da letto aprirsi. Avevo intuito che sarebbe venuto in bagno, così lasciai la porta socchiusa, per indurlo a pensare che non ci fosse nessuno. Sempre nuda, mi nascosi dietro la porta. Quando Lucio, ignaro, entrò, io mi misi a gridare con tutto il fiato che avevo in gola. Lui rimase paralizzato, senza riuscire a capire se strillassi a causa sua o mi fosse capitato qualcosa. Quando sentii che la mamma, spaventata dalle urla, stava sopraggiungendo di corsa, mi aggrappai a lui e gridai: ‘Lasciami, brutto porco!’
La mamma rimase pietrificata, e io mi rifugiai fra le sue braccia piangendo, fingendomi terrorizzata.
‘Che cosa è successo?’ mi chiese, coprendomi con un asciugamano. Lucio, poverino era rimasto, senza parole.
‘È entrato in bagno e mi è saltato addosso!’ urlai, guardandolo con odio.
Lucio capì il mio gioco e cercò di riprendere in mano la situazione.
‘Da quanto tempo hai studiato questo piano?’ mi chiese, con uno sguardo gelido che mi penetrò come una coltellata.
Poi, rivolto a mia madre: ‘Credimi, sono entrato nel bagno convinto che non ci fosse nessuno. Aveva lasciato la porta socchiusa… Subito dopo mi è saltata addosso gridando!’
Penso che mia madre gli abbia creduto; tuttavia comprese che, per essere arrivata a tanto, dovevo stare proprio male.
‘Ti prego vattene, esci subito da questa casa… Ti prego!’ gli disse, con gli occhi colmi di lacrime. In quel momento era solo la mia felicità che contava per lei.
Lucio raccolse le sue cose e chiamò mamma in camera.
‘Devi credermi, sono disgustato quanto te da questa storia. È tutta una montatura di tua figlia per liberarsi di me!’ le disse, supplicandola disperato.
La mamma lo invitò ancora una volta ad andarsene:
‘Cerca di capire, comunque siano andate le cose, non puoi rimanere qui!’.
Lui, sconfitto, andò via senza aggiungere altro. Il fango che gli avevo buttato addosso lo soffocava, come soffocava me. Stavo male. Mi sentivo una persona cattiva, orribile!
Nelle ore seguenti mi capitò di vedere la mamma piangere di nascosto. La sua infelicità mi ossessionava. Il giorno dopo prese un permesso per stare con me.
‘Andiamo dai carabinieri per fare la denuncia!’ mi disse a bruciapelo, guardandomi negli occhi. Io mi sentii gelare; ebbi un attacco di panico. Non mi aspettavo che le cose potessero prendere quella piega.
‘Perché dobbiamo denunciarlo?’ le chiesi tremante.
‘Perché ha cercato di violentarti!’ mi rispose, senza staccare i suoi occhi dai miei.
Non sapevo cosa fare. Se avessi confessato la verità la mamma non mi avrebbe mai perdonata; denunciandolo, avrei rovinato quel poveraccio per sempre.
‘Mamma, ci andremo domani… In questo momento mi sento male, mi viene da vomitare…’
Adesso capisco che mamma non aveva mai creduto alla mia storia, e che l’idea della denuncia era solo un espediente per scoprire la verità.
‘Vai a metterti a letto, io esco un attimo’.
Mi venne un atroce dubbio: e se la mamma fosse andata a sporgere denuncia?
‘Mamma, non andare dai carabinieri…’ la implorai. Sorridendomi tristemente, rispose:
‘No tesoro, ci andremo domani insieme!’.
Mi abbracciò forte e uscì di casa. Affacciandomi alla finestra la vidi parlare al telefono in modo concitato, stava certamente conversando con Lucio. In preda all’inquietudine mi misi a piangere, rendendomi conto di aver combinato un casino. La mamma era incinta, e adesso avrebbe dovuto affrontare la situazione da sola. L’angoscia mi soffocava, non sopportavo più quel peso che mi cresceva dentro.
Mi vennero in mente le pasticche che mi aveva dato Mirko e corsi a prenderne una. Avrei fatto di tutto pur di trovare un po’ di sollievo a quella disperazione che mi tormentava.
Mi sentii subito leggera, come se stessi volando su una stella. Avevo voglia di uscire, correre, cantare; mi trovai fuori di casa senza rendermene conto… volevo raggiungere di corsa i giardinetti e raccontare tutto al Gringo, spiegargli quanto ero stata brava a levarmi di torno quello stronzo.
Sì, lo avrei denunciato: lo volevo in galera. Ero felice… avevo fatto la cosa giusta. Era bello avere la sensazione di essere in gamba.
Quando vidi Mirko, lo abbracciai con trasporto. Sentivo di avere la gola asciutta, avevo bisogno di bere qualcosa per stare ancora meglio.
Gli raccontai quello che era successo. Mentre lo mettevo al corrente degli ultimi avvenimenti sentivo crescere in me una specie di sadismo; ero orgogliosa della mia montatura. Rivedere mentalmente i visi sconvolti e disperati di mamma e Lucio mi faceva sentire appagata: giustizia era fatta!
‘Ti sei sballata?’ mi chiese il mio amico con voce impastata e tremante; faticava a capire quello che gli raccontavo, i suoi occhi erano lucidi e, a tratti, li socchiudeva, come per concentrarsi. Era sballato anche lui, ma in quel momento a me tutto sembrava bello, tutto gradevole. Mi strinsi a lui e lo baciai con trasporto. Era il mio primo bacio a un ragazzo… La sensazione che provai fu di disgusto… ma ero troppo su di giri per dar peso alle mie sensazioni.
‘Voglio fare l’amore’, gli dissi ridacchiando. Lui si scostò e mi prese sotto braccio… Ebbi l’impressione che si stesse appoggiando a me per non barcollare. Il suo alito era puzzolente…
‘Vieni, andiamo a casa mia, mia madre non c’è!’
Da come parlava capii che non era molto interessato, ma non m’importava… sapevo che era fatto anche lui.
Mi portò a casa sua, una camera e cucina fatiscenti. Mi buttai sul letto sfatto; ero stanca, e tutto mi girava intorno.
‘Ho sete… dammi da bere, qualsiasi cosa!’ gli chiesi, con la lingua che era rigida come una tavoletta. L’effetto della pasticca stava scemando, e avevo la sensazione che il cuore volesse uscirmi dal petto. Lui, incurante, mi venne sopra e mi spogliò in un attimo.
‘Ho sete!’ gli gridai. Lui scese dal letto, prese un bicchiere con dell’acqua e ci mise dentro una polverina. In un attimo mi sentii di nuovo bene; ero talmente sballata che vissi la mia prima volta tra smorfie e risate, senza capire esattamente cosa stesse avvenendo. Provai molto dolore, ma dissi solo: ‘Cazzo, fai piano!’, ricominciando a ridere stupidamente.
Subito dopo devo essermi addormentata, o sono svenuta. Mi risvegliai nuda nel bagno, con Mirko che mi teneva la testa sotto l’acqua.
‘Che cazzo mi hai fatto?’ gli chiesi liberandomi dalla presa.
‘Adesso hai la possibilità di far pagare a quello stronzo la bravata di mettere incinta tua madre’.
‘E come?’ gli chiesi, mentre la stanza da bagno mi girava intorno.
‘Domani, quando vai a fare la denuncia, di’ ai carabinieri che ti ha violentata; chiedi la visita ginecologica, e vedrai che lo freghi per sempre.
‘Fico! Sei un genio…’ risposi entusiasta.
Quando tornai a casa stavo male, avevo voglia di vomitare. La mamma si spaventò, pensando che fosse per il trauma subito a causa di Lucio. Ebbi un attacco di panico; la pressione era salita alle stelle. Cercai di controllarmi, per non far capire a mamma quello che avevo fatto.
‘Ti porto dal medico!’ mi disse decisa.
Mi sentii perduta: andare dal medico significava far scoprire alla mamma che mi ero drogata.
‘Ti devo confessare una cosa’ le dissi piangendo.
‘Non è stata la prima volta che Lucio ha provato ad approfittare di me. Mi aveva già violentata e minacciata di non dirti nulla!’. La mamma era impallidita mortalmente. Io ero contenta, Mirko sarebbe stato orgoglioso di me!
Mia madre prese il cellulare e chiamò subito una sua amica ginecologa.
‘Vieni subito, ho bisogno di te’ la implorò disperata.
Mi misi a tremare ed ebbi una crisi di pianto. Non ero stata mai così male.
Quando arrivò, la ginecologa mi trovò a letto, scossa da brividi. Mi visitò subito e poi chiese a mia madre di andare in cucina… aveva bisogno di un caffè.
Quando furono sole, la dottoressa ebbe molte difficoltà a spiegare alla mamma la situazione. Non avrebbe voluto sconvolgerla ancora di più, ma doveva metterla al corrente dei fatti avvenuti. Dalla camera riuscivo ad intravederle e a sentire quello che si dicevano:
‘La ragazzina ha avuto un rapporto sessuale qualche ora fa. Ha ancora sanguinamento. Ti prego di rimanere calma’ la esortò. Notando il pallore del suo viso, le diede un bicchiere di acqua, poi proseguì stringendole una mano nelle sue, come per darle coraggio.
‘Ho paura che abbia assunto qualche sostanza stupefacente. Bisogna portarla in ospedale’.
‘È così grave?’
‘Stai tranquilla, non è in pericolo di vita; è il suo stato mentale che mi preoccupa’.
La mamma cercò in tutti i modi di evitare che mi portassero in ospedale; le disse che non era la soluzione migliore, in fondo lei era la sua amica del cuore e conosceva la nostra situazione. Alla fine la convinse a curarmi a casa.
‘Vai subito in farmacia e compra queste pasticche; gliene darai due, vedrai che starà meglio’. Io ho una visita urgente; torno fra un’oretta, e decideremo se portarla in ospedale. Coinvolgi anche il padre… Cerca di non lasciarla sola’.
Nel frattempo io ero rimasta a letto, con la tremarella che non voleva abbandonarmi. Quando mamma tornò in camera finsi di dormire.
Lei cercò di chiamare mio padre ma lui, come al solito, non rispose. Convinta che io stessi dormendo, decise di fare un salto in farmacia per comprare le compresse che aveva prescritto la dottoressa.
Sentii la mamma uscire e la porta chiudersi.
Avevo bisogno di un’altra pasticca… una di quelle che mi aveva dato il Gringo. Mi alzai dal letto barcollante, e ingoiai l’ultima rimasta, senz’acqua. Mi sentii subito meglio ma poi, all’improvviso, cominciai a vedere tutto doppio. Sentii il calore della pipì che mi scendeva lungo le cosce. Mi rendevo conto di dover andare in bagno ma non riuscivo a orientarmi, né a muovere le gambe. Avevo conati di vomito, sentivo che mi stava succedendo qualcosa di brutto. A un tratto mi trovai a terra, stesa sul vomito e sulla pipì che allagavano il pavimento. Sentivo un fetore tremendo; avevo la sensazione di nuotare in un mare di melma… una sensazione contrastante con l’esperienza che stavo vivendo e che, nonostante tutto, era piacevole… Sentivo una musica assordante che mi metteva allegria; con gli occhi socchiusi riuscivo a vedere la luce della finestra aperta, avevo voglia di volare e cominciai a trascinarmi verso quella luce… Non avvertivo più la sensazione di malessere totale di pochi istanti prima, ero in uno stato di totale confusione e continuavo a strisciare a fatica; volevo arrivare al balcone, dove avrei trovato la forza di volare, di correre verso quella pace che mi attirava irresistibilmente. Giunta con grande sforzo sul balcone, sentii il sole che mi riscaldava.
‘Aspettami, sole, adesso volo da te!’ ebbi la forza di mormorare. Intanto cercavo di racimolare le energie per issarmi sulla ringhiera.
Mi risvegliai in ospedale senza ricordare come ci ero finita. La mamma era distrutta: da due giorni non si muoveva dal mio capezzale.
Quando mi vide aprire gli occhi, per poco non svenne dalla gioia.
In seguito seppi che Lucio era venuto a casa per prendere le sue ultime cose e lasciare le chiavi, convinto che io fossi a scuola e mamma in ufficio; invece aveva trovato me svenuta sul balcone!
Sono passati otto mesi, e ho faticato molto a riprendermi; ma, con l’aiuto di mamma e di Lucio, ci sto riuscendo. Un mese fa è nata la mia sorellina ed io la amo tantissimo».
«Brava Chiara! La tua storia è molto toccante».
Quale messaggio vorresti mandare alle tue coetanee?»
Chiara si asciuga gli occhi umidi di pianto e finisce il suo racconto con un consiglio:
«Vorrei aiutare ogni adolescente che oggi si sente come mi sono sentita io, che sta vivendo la mia stessa esperienza. Fa male sapere quanti giovani soffrono nello spirito e nel corpo a causa dell’indifferenza degli altri. La gente non dà importanza ai loro problemi perché ritiene che siano solo ragazzi ribelli e insoddisfatti.
Non ci si rende conto di quale dramma può rappresentare, per uno di noi, dover accettare la decisione dei genitori di non vivere più insieme, distruggendo così la nostra famiglia. È una cosa che non riusciamo a sopportare e, per questo, avvertiamo una continua smania di crescere per riuscire a capire.
A tutti i miei coetanei, ragazzi o ragazze, vorrei dire una cosa molto semplice ma importante: mettete da parte il vostro dolore, la vostra delusione, e lasciate che anche i vostri genitori siano padroni della propria vita. Non si può essere felici convivendo con due genitori che litigano per un nonnulla perché non si amano più. Voi dovete continuare a voler bene ad entrambi; l’affetto di mamma e papà non cambierà mai nei vostri confronti. Cercate di stabilire un rapporto amichevole con le nuove persone entrate nella vostra famiglia.
Il mondo è cambiato, non esiste più – o forse non c’è mai stata - la famiglia del Mulino Bianco.
Una famiglia allargata deve voler dire avere più persone da amare…».
La storia di Chiara mi ha colpito molto. Nel salutarla, mi rendo conto che il mio interesse per gli adolescenti si è fatto ancora più forte.
Antonia Caprella