Scarcerato il carceriere del piccolo Di Matteo 'poi ucciso nell'acido''
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ROMA, 6 MAG - Tra le 376 scarcerazioni di mafiosi disposte in seguito all'emergenza Covid ce n'è una che sindacati di polizia e politici di centrodestra hanno definito "inaccettabile", ancor più di quelle di boss molto più blasonati: la scarcerazione di Franco Cataldo, 85 anni, condannato all'ergastolo per concorso nel sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo.
Al detenuto, che stava scontando la pena nel carcere milanese di Opera, sono stati concessi gli arresti domiciliari per motivi di salute. Fu un crimine agghiacciante, quello del ragazzino, ucciso a 15 anni nel 1996 dopo oltre due anni di prigionia. Cataldo era stato arrestato con diversi altri mafiosi dopo la scoperta del bunker sotterraneo, in un casolare di San Giuseppe Jato, dove era stato segregato nell'ultimo periodo il figlio del pentito Santino Di Matteo, prima di essere strangolato e sciolto nell'acido su ordine di Giovanni Brusca. Secondo l'accusa uno dei covi utilizzati per nascondere il bambino sarebbe stata una masseria di proprietà di Cataldo. Giuseppe Di Matteo - sequestrato il 23 novembre 1993, quando non aveva ancora compiuto 13 anni, per indurre il padre a interrompere la collaborazione con la giustizia - rimase prigioniero per due mesi nel 1994 nella masseria di Cataldo, tra Gangi e Geraci Siculo, nelle Madonie. Il ruolo di Cataldo è stato ricostruito da uno dei "carcerieri" del bambino, Giuseppe Monticciolo, poi diventato collaboratore di giustizia. Monticciolo ha confessato di avere partecipato a decine di delitti e di essere stato "a disposizione" di Giovanni Brusca per le operazioni più feroci, tra cui quella del rapimento del piccolo Di Matteo e della sua segregazione con vari trasferimenti. Nel 1994 era stato incaricato da Brusca di costruire nella fattoria di Cataldo una "prigione" con una porta in metallo. Cataldo, ha raccontato il collaboratore in un libro curato da Vincenzo Vasile ("Era il figlio di un pentito"), si era mostrato felice di mettere la sua proprietà a disposizione dei carcerieri. "Il fatto è - ha spiegato - che i grandi mafiosi facevano a gara per accaparrarsi almeno un giorno di custodia di quel bambino: sembrava che volessero guadagnarsi qualche bollino di presenza". I comportamenti di Brusca però provocarono qualche presa di distanza. Franco Cataldo colse come pretesto la raccolta delle olive. "Falsamente preoccupato - ha raccontato Monticciolo - mi disse di riferire a Brusca che ciò avrebbe potuto consentire a qualcuno di sentire la voce del bambino". Brusca organizzò quindi il trasferimento del piccolo dopo avere commentato: "Quando c'è da arrampicarsi sono agili come le scimmie, quando ci sono difficoltà si ficcano tutti sottoterra come carogne"