Scala priva di alcuni presidi di sicurezza:si ha diritto al risarcimento in caso di caduta
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CATANZARO, 19 APR – È manifestamente infondato, in diritto, l’assunto secondo il quale la eventuale circostanza che la scala non fosse dotata di alcuni dei requisiti di sicurezza imposti dalla vigente normativa possa essere da sola sufficiente per affermare che essa sia stata la causa della caduta della ricorrente e che, di conseguenza, non avrebbe alcun rilievo la effettiva dinamica dell’incidente, dal momento che il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. richiede sempre la dimostrazione (quanto meno in via presuntiva), da parte dell’attore danneggiato, che la cosa in custodia sia stata la causa dell’evento lesivo, sulla base della effettiva dinamica dell’incidente. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza n. 9872/2021, depositata il 15 aprile.
Il caso. Una donna agiva in giudizio nei confronti del Comune per ottenere il risarcimento dei danni subiti cadendo su una scala del palazzo comunale. La domanda era accolta dal Tribunale competente.
Avverso tale sentenza il Comune interponeva appello. La Corte di Appello distrettuale, in riforma della decisione di primo grado, la rigettava. Per i Giudici di secondo grado, “la scala presentava gradini usurati, privi di nastri antisdrucciolo” e “il corrimano di appoggio era presente solo su un lato”. Ciò nonostante, però, “la scala non era connotata da una situazione di oggettivo pericolo in ragione delle sue caratteristiche, tale da rendere il danno molto probabile, se non inevitabile”. Tutto ciò faceva escludere la responsabilità del Comune e negare il risarcimento alla donna.
Avverso tale sentenza la donna proponeva ricorso per Cassazione. La ricorrente sosteneva che la Corte d’Appello, nel valutare la pericolosità della scalinata dov’era avvenuto l’incidente, non avrebbe tenuto in adeguata considerazione che la stessa aveva gradini usurati, privi di nastri antisdrucciolo e mancanti da un lato del corrimano di appoggio. Secondo la Suprema Corte, come era noto "l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività", fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.”
Era comunque opportuno sottolineare che era manifestamente infondato, in diritto, “l’assunto secondo il quale la eventuale circostanza che la scala non fosse dotata di alcuni dei requisiti di sicurezza imposti dalla vigente normativa possa essere da sola sufficiente per affermare che essa sia stata la causa della caduta della ricorrente e che, di conseguenza, non avrebbe alcun rilievo la effettiva dinamica dell’incidente, dal momento che il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. richiede sempre la dimostrazione (quanto meno in via presuntiva), da parte dell’attore danneggiato, che la cosa in custodia sia stata la causa dell’evento lesivo, sulla base della effettiva dinamica dell’incidente.” Nella specie la Corte d’Appello, sulla base di una incensurabile valutazione delle prove, aveva ritenuto non dimostrato il nesso eziologico tra la cosa e l’evento lesivo.
A tal fine, dopo avere dato atto che non era stata in alcun modo documentata dall’attrice la effettiva dinamica dell’incidente aveva, del tutto correttamente, effettuato anche una valutazione relativa alla pericolosità della cosa (con riguardo alle sue effettive condizioni e, quindi, anche ai requisiti di sicurezza) al fine di stabilire se ciò potesse fornire, almeno in via presuntiva, la prova del suddetto nesso causale. La decisione impugnata risultava, dunque, conforme in diritto ai principi in tema di responsabilità da cose in custodia costantemente affermati dalla Corte di legittimità e recentemente ribaditi e precisati, secondo i quali: “a) il criterio di imputazione della responsabilità fondato sul rapporto di custodia di cui all’art. 2051 c.c. opera in termini rigorosamente oggettivi; b) il danneggiato ha il solo onere di provare il nesso di causa tra la cosa in custodia (a prescindere dalla sua pericolosità o dalle sue caratteristiche intrinseche) ed il danno, mentre al custode spetta l’onere della prova liberatoria del caso fortuito, inteso come fattore che, in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico tra cosa e danno, ed è comprensivo del fatto del terzo e della condotta incauta della vittima; c) la deduzione di omissioni, violazione di obblighi di legge, di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini della sola fattispecie dell’art. 2043 c.c., salvo che la deduzione non sia diretta soltanto a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacità di recare danno, e a sostenere allegazione e prova del rapporto causale tra quella e l’evento dannoso.”
Per tali motivi la Corte di Cassazione rigettava il ricorso.
Avvocato Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express