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NEW YORK, 29 AGOSTO - Il premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi, è accusata di genocidio dall’Onu. Al cuore della denuncia delle Nazioni Unite ci sono le violenze perpetrate contro i Rohingya in Myammar, gruppo etnico prevalentemente musulmano di un milione circa di persone che abitava nel Rakhine, la regione più povera di Myanmar. Lo Stato non li considera cittadini e non garantisce loro né l’istruzione né le cure sanitarie. [MORE]
Tra i colpevoli denunciati dall’Onu ci sono sei generali, compreso il comandante in capo dell’esercito nazionale, Min Aung Hlaing. Un anno esatto dopo l’offensiva che ha costretto alla fuga verso il vicino Bangladesh almeno 700.000 Rohingya, le Nazioni Unite hanno pubblicato a Ginevra un rapporto che chiede il processo di fronte a una corte internazionale.
Il dossier Onu chiama in causa però anche Aung San Suu Kyi, dal 2015 alla guida del governo civile del Paese: alla ex combattente per la libertà birmana è addebitato – tra l’altro – un silenzio impotente dettato dalla realpolitik, la volontà di arrivare alla riconciliazione con i militari che per anni l’avevano detenuta, la rinuncia ad usare la sua autorità morale.
Portare i generali del Myanmar alla sbarra di fronte a un tribunale internazionale, come raccomanda il rapporto, non sarà però facile. Il Paese non ha sottoscritto lo Statuto di Roma che e servirebbe quindi un voto del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, dove la Cina, che ha molti interessi nell’area confinante, potrebbe usare il suo potere di veto.
Claudio Canzone
Fonte foto: bbc.com