Rivolta Hong Kong: Cina ipotizza uso della forza per repressione
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SHENZHEN, 16 AGOSTO – La Cina si prepara ad un’eventuale invasione armata del territorio amministrativo indipendente di Hong Kong, ipotizzando anche l’uso della forza laddove necessario per sedare la rivolta esplosa nella regione meridionale. Migliaia di unità della polizia militare cinese hanno sfilato nello stadio di Shenzhen, la metropoli più vicina al confine con l’ex città-stato, per dare sfoggio di forza e dell’intenzione di non accettare le proteste hongkonghesi.
Da 10 settimane nell’ex colonia britannica si stanno accendendo disordini e proteste di vario genere, spesso sfociate in violenti scontri tra rivoltosi e polizia. L’ultima manifestazione ha portato in piazza più di 430mila persone, che hanno rischiato il peggio quando un gruppo di uomini vestiti di nero ha forzato un cordone della polizia per lanciare decine di uova contro l’ufficio territoriale del governo cinese ed imbrattarne i muri con scritte piene di insulti rivolti alle autorità centrali di Pechino. La situazione potrebbe a maggior ragione degenerare nella giornata di domenica, essendo prevista una nuova manifestazione che potrebbe richiamare in piazza un numero ancora maggiore di persone, con il rischio che le minacce di repressione violenta da parte della Cina possano concretizzarsi.
La situazione è resa ancora più critica dallo scontro interno tra fazioni diverse di manifestanti, tra i quali vi sarebbero anche gruppi armati legati alla criminalità organizzata delle triadi cinesi, che hanno a loro volta preso di mira i leader delle rivolte di Hong Kong. Ieri, per esempio, i pendolari che transitavano presso la stazione della metropolitana di Yuen, lungo il confine cinese, hanno assistito ad una vera e propria imboscata con bastoni e ombrelli, messa in atto da un gruppo di uomini che i testimoni hanno descritto come “ben vestiti”, i quali si sono simbolicamente accaniti contro chiunque fosse vestito di nero (il colore indossato dai promotori delle proteste di Hong Kong), ferendo gravemente almeno 45 persone. Anche un parlamentare di Hong Kong, Lam Cheuk-Ting, è stato preso di mira dagli aggressori, che lo hanno percosso con dei bastoni di legno mentre si trovava tra la folla presente in stazione; il politico ha definito la situazione “estremamente critica” ed ha puntato il dito anche sulle forze dell’ordine, a suo avviso colpevolmente assenti nei luoghi affollati e maggiormente a rischio, lasciando intendere di considerare la polizia locale connivente con i contro-rivoltosi cinesi o comunque di non aver fatto nulla per contenerne le aggressioni.
Le proteste di massa deriverebbero dalla decisione – risalente agli inizi di giugno – dell’Assemblea Nazionale del Popolo (l’organo parlamentare cinese) di approvare una legge che disporrebbe l’estradizione in Cina di tutti i cittadini hongkonghesi indagati: il timore diffuso è che la normativa sia il segnale di apertura di una stagione di repressione e di erosione dei diritti civili degli abitanti dell’ex città-stato, posta formalmente dal 1997 sotto la supervisione cinese ma con ampia autonomia amministrativa e politica, che le stesse autorità di Pechino si erano impegnate a rispettare per almeno 50 anni secondo il motto “una Cina, due sistemi” propugnato dall’ex presidente Deng Xiaoping. I manifestanti chiedono ora il ritiro definitivo della legge – nel frattempo arenatasi nel suo percorso parlamentare – ma anche le dimissioni del capo dell’esecutivo locale Carrie Lam (accusata di essere più vicina a Pechino che alle esigenze della popolazione della regione meridionale) e l’introduzione di un vero suffragio universale per la scelta dei componenti dell’esecutivo, attualmente nominati dal governo cinese.
Nel frattempo, l’aeroporto di Hong Kong, uno degli scali più importanti del continente asiatico, è praticamente paralizzato a causa della presenza costante sia di picchetti di manifestanti sia di mezzi blindati della polizia locale. L’impatto sull’economia, il fiore all’occhiello della regione amministrativa speciale nel sud-est asiatico, è stato finora devastante: dall’inizio delle proteste la Borsa di Hong Kong ha perso il 16% del suo valore e sono già stati vanificati tutti i guadagni realizzati dagli investitori nei primi mesi dell’anno; vari esperti, inoltre, segnalano come sia già in atto un deflusso massiccio di capitali stranieri da quello che per anni è stato a tutti gli effetti un paradiso fiscale. Il futuro economico, sociale e politico della regione di Hong Kong dipenderà dunque dai prossimi, delicati, sviluppi del braccio di ferro con le autorità cinesi.
Francesco Gagliardi
Fonte immagine: scmp.com