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ROMA 3 DICEMBRE – Il bacino di scelte che i cittadini italiani sono chiamati ad intraprendere con il referendum del 4 dicembre comprende anche il tipo di rapporti che si intende instaurare tra lo Stato e le Regioni in materia di funzionamento e organizzazione del Servizio sanitario nazionale.
La ratio alla base della riforma costituzionale Renzi-Boschi, per quel che concerne il Titolo V e la tutela della salute, è il tentativo di stabilire una maggiore chiarezza nel riparto di competenza tra Stato e Regioni, in modo da limitare il “contenzioso permanente” tra gli enti costitutivi della Repubblica, garantendo alla legge statale gli strumenti – attraverso la cosiddetta “clausola di supremazia” – per prevalere rispetto all’autonomia regionale e facilitare una maggiore uniformità nell’erogazione dei servizi sanitari regionali.
La platea di sostenitori del “No” è molto diversificata e produce un ampio ventaglio di argomentazioni secondo le quali la modifica dell’art. 117 non produrrebbe reali benefici in ambito sanitario. Ecco le tre principali: innanzitutto, vi è la motivazione “federalista”, supportata soprattutto dal gruppo dei Governatori di centrodestra delle Regioni del Nord, composto da Maroni (Lombardia), Zaia (Veneto) e Toti (Liguria), secondo i quali le nuove disposizioni arresterebbero il processo di devoluzione di competenze avviato negli ultimi decenni a favore delle autonomie territoriali, ricentralizzando i poteri in materia di salute. Si teme, in particolare, che questo potrebbe porre fine ad un approccio di salvaguardia delle eccellenze regionali alimentando, al contrario, effetti di convergenza sanitaria al ribasso.
Il secondo aspetto riguarda il tema del contenzioso tra Stato e Regioni. La modifica costituzionale, secondo alcuni attori come la Cgil Medici, rischierebbe di aumentare i conflitti di attribuzione, sia perché l’art.117 delinea, de facto, un “concorso di competenze e di responsabilità”, sia perché dovrà essere chiarito cosa si intenda realmente per “disposizioni generali e comuni” che sono di competenza statale, in relazione agli ambiti che resterebbero in ogni caso di competenza regionale. Questo si inserirebbe in un contesto in cui l’attività giurisprudenziale della Corte Costituzionale ha, negli ultimi anni, ridotto in parte i casi di contenzioso.
Infine, l’ultima corrente di pensiero tra le voci del “No” mette in evidenza come il nuovo assetto istituzionale prevede che alla Giunta regionale rimarrebbe comunque la potestà legislativa “in tema di programmazione e organizzazione sanitaria”, assicurando dunque una certa libertà alle Regioni nella predisposizione delle attività sanitarie. Questo potrebbe avere l’esito di riprodurre le divergenze sanitarie e sociali che sono già esistenti, perché importanti funzioni vengono demandate agli stessi soggetti istituzionali che ne sono stati responsabili fino ad oggi.[MORE]
Carlo Giontella
Immagine da picenotime.it