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TRAPANI, 24 OTTOBRE 2011 – Continuano le udienze nell'ambito del processo per l'omicidio di Mauro Rostagno ripreso la scorsa settimana con la deposizione di Giuseppe Linares, l'ex capo della squadra mobile trapanese – oggi a capo della Criminalpol – a cui si deve la riapertura delle indagini tre anni fa.
Più che le persone, in questo nuovo capitolo del processo, ad essere importanti sono i fatti. Quelli della “super-perizia”, in particolare, condotta dal professor Livio Milone, uno dei massimi esperti di scienza balistica e dall'ispettore della polizia Scientifica di Roma, Emanuele Garofalo (che nel curriculum vanta anche le indagini sui delitti di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin nonché dell'agente dei servizi Nicola Calipari).[MORE]
La ricostruzione fatta dai due periti confermerebbe quanto testimoniato da Monica Serra, che la sera dell'omicidio era in macchina con Rostagno, il quale sarebbe stato prima raggiunto da due o tre colpi di fucile sparati da una posizione posteriore rispetto al giornalista, che al momento dell'omicidio, a bordo della sua Fiat Duna, stava imboccando la stradina che lo avrebbe condotto alla sede della comunità terapeutica Saman, da lui fondata e dove viveva.
Alcuni pallettoni rimbalzati, sostiene la perizia, potrebbero averlo ferito anche alla mano sinistra, a conferma di quanto testimoniato dal referto autoptico e gli ultimi due colpi avvertiti dalla testimone, secondo i periti, dovrebbero essere quelli che, esplosi da una calibro 38, avrebbero di fatto “giustiziato” Mauro Rostagno.
Il “metodo” Mazzara. Il professor Milone ha poi dato più di una conferma per quanto riguarda l'esecuzione materiale dell'omicidio ad opera di Vito Mazzara, che usava un particolare modo per “firmare” i propri delitti. Sovraccaricare le cartucce è un metodo utilizzato per andare a caccia di prede particolari, «non certo cinghiali», ha chiosato a conclusione. Altra conferma della presenza di Mazzara sulla scena del crimine sarebbero le striature sulle cartucce, che però – ha precisato il perito – possono essere usate anche per controllare l'efficienza dell'arma o per tenerla sempre pronta all'uso. E chi va a caccia senza essere preda, di solito, l'arma la tiene scarica.
«Ho periziato molti omicidi di mafia, ed il rituale è stato sempre lo stesso: l'uso di un fucile calibro 12 e di una calibro 38, i primi colpi esplosi col fucile per fermare la vittima, la pistola per il colpo di grazia, e la sequenza è quella del delitto Rostagno» ha risposto il perito quando gli è stato chiesto da cosa si potesse dedurre con certezza la mano di Cosa nostra sull'omicidio. «È possibile» - ha infine concluso - «che a sparare sia stata una sola persona, ma nel caso specifico sono portato ad escluderlo».
Chi sia questo secondo uomo – un'ipotesi comunque tutta da verificare – saranno forse le prossime udienze a definirlo. Il processo continuerà il 9 novembre con l'audizione di tutti coloro che presero parte ai rilevamenti sulla scena del crimine, mentre la settimana successiva tornerò a testimoniare il maresciallo Beniamino Cannas, che avrebbe rivelato alla sorella di Mauro Rostagno, Carla, la notizia che il giornalista era andato a trovare il boss di Campobello di Mazzara Natale L'Ala, nome inserito nell'indagine sulla loggia segreta “Iside 2”, loggia i cui intrecci con la mafia erano quelli che, si dice, avrebbe dovuto svelare Mauro Rostagno se qualcuno non lo avesse ucciso prima.
Andrea Intonti