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La riflessione domenicale del presidente della Cec, mons. Vincenzo Bertolone. «“Mamma è vita” una prospettiva da non rovesciare»
«Le verità che contano, i grandi princìpi, alla fine, restano due o tre. Sono quelli che ti ha insegnato tua madre da bambino».
Ad Enzo Biagi, da quel gran giornalista che era, bastavano poche parole per mettere in risalto l’importanza del ruolo delle madri. Parole che, nel giorno in cui praticamente in tutto il mondo si celebra la festa della mamma, dovrebbero costituire occasione per fermarsi a riflettere anziché lasciarsi ghermire dalla mondanità, che ha ormai permeato di sé la ricorrenza. [MORE]
Una madre, in effetti, è una radice che non si spezza e non inaridisce, neppure quando l’età fa dell’uomo un tronco curvo e secco. Per rendersene conto basta tornare con la memoria agli anni dell’infanzia, quando ai nostri occhi la mamma era la più bella tra le donne ed il papà il più forte tra gli uomini. Crescendo, abbiamo forse rinunciato alla fantasia, ma non alla sostanza di quell’immagine. E pure da adulti, nelle notti avare di sonno e ricche di incertezze, il solo pensiero di poter contare sulla mamma è sempre di conforto e diventa invece motivo di debolezza quando colei che ci ha generato non c’è più.
Ma se davvero una madre è così importante, perché oggi si tende a cancellare la maternità in nome della libertà, vera o presunta? Quasi ovunque, fino a qualche tempo fa, la donna era ancora identificata con la funzione riproduttiva e considerata proprietà dell’uomo. Una visione rispetto alla quale il femminismo radicale, come per reazione, ha risposto con la rivendicazione della libertà, negando la vocazione materna. Due concezioni antitetiche, della cui lotta s’è avvantaggiato il consumismo, che ha trasformato la figura femminile in merce, in oggetto di piacere e marketing. Una madre è ben altro: è crocevia di destini, identità propria ed altrui, libertà di accettare l’altro nella sua alterità. Modificare con la forza queste relazioni, non considerare la donna depositaria di legami imperituri, equivale «a inciampare in se stessi, aggrovigliarsi nella nostra ombra», come scriveva la filosofa Maria Zambrano.
Rovesciare la prospettiva, ribellarsi al pensiero dominante, è l’impegno al quale sono chiamati quanti - cristiani e non - sentono e credono che una madre sia l’altra parte di sé, alla quale si continua ad essere avvinti sempre, se non dal cordone ombelicale, dal battito e dal respiro, anche dopo essere venuti al mondo. Una simbiosi frutto di un amore senza limiti, pari a quello di Dio, che - ha ricordato più volte papa Francesco - non a caso «è tanto vicino a noi da esprimersi con la tenerezza di una madre».
Maggio, che in sanscrita vuol dire mahi, “la grande madre”, è il mese della rinascita, della terra che fiorisce. Può - e forse deve - diventare anche il tempo della riscoperta di quell’evento miracoloso e sacro che è la vita, al cui centro c’è la madre, incarnata e simboleggiata da Maria, Madre di Gesù, semplice e di gran cuore come ogni madre che culli un figlio in grembo o lo guardi incamminarsi per le strade del mondo.