Mons. Maniago guida la Veglia Diocesana di Pentecoste: Vieni Santo Spirito e portami là dove non ho mai osato andare..
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Veglia Diocesana di Pentecoste “Vieni Santo Spirito e portami là dove non ho mai osato andare…”
Sentita e partecipata anche quest’anno la Veglia Diocesana di Pentecoste, organizzata dal Servizio Diocesano per la Pastorale Giovanile di Catanzaro-Squillace, dal titolo “Vieni Santo Spirito e portami là dove non ho mai osato andare…”.
Per l’occasione è stata scelta la parrocchia “Beato Domenico Lentini” di Catanzaro, dove, dopo la preghiera iniziale in Chiesa davanti alla Croce, fatta con i resti del barcone della strage di Cutro nel mese di febbraio scorso, in ricordo dei tanti fratelli che hanno perso la vita sulle coste Calabresi, la veglia è proseguita all’esterno. Il responsabile della Pastorale Giovanile Diocesana, Francesco Costa, ha invitato i presenti ad uscire in processione per essere un segno importante di una Chiesa che cammina insieme, una Chiesa Sinodale, ma soprattutto anche una Chiesa Esodale, cioè che esce e abita le nostre strade.
La Veglia ha avuto come filo conduttore le parole di Papa Francesco per le Giornate Mondiali di Preghiera per le Vocazioni, rese più vive dalle testimonianze di Simone Samà, seminarista diocesano di quinto anno, dei coniugi Cesare e Sara Longo, coppia di giovani sposi, di Federica Santoro, giovane universitaria impegnata in parrocchia e nel sociale, e dalla riflessione dell’Arcivescovo S.E. Mons. Claudio Maniago.
Simone, raccontando la sua chiamata e riprendendo le parole di San Giovanni Paolo II, ha sottolineato come “non è facile parlare riguardo alla propria vocazione, in quanto è un dono, ma, nello stesso tempo, è anche un mistero […]. La vocazione non è frutto del caso, ma c’è un progetto di Dio e, se impariamo ad ascoltare, scopriremo che Dio non smette mai di chiamarci”.
Sara e Cesare, fidanzati da sei anni, dopo essersi affidati alla Madonna delle Grazie, hanno visto spianarsi la strada che li ha portati a coronare il loro sogno di essere famiglia cinque mesi fa, e hanno raccontato come, da una visione del matrimonio cristiano come benedizione da parte di Dio della loro unione, sono passati alla consapevolezza del matrimonio “come una vera e propria missione, una missione dove gli sposi non sono altro che il volto di Dio” e per arrivare a questa consapevolezza per loro è stato di fondamentale importanza il percorso di preparazione al matrimonio.
Federica ha raccontato come la sua esperienza di fede, sin da piccola in parrocchia come scout e come catechista dopo la cresima, si sia ad un certo punto interrotta per le numerose domande alle quali, come i suoi coetanei di cui era catechista, non riusciva a dare una risposta, fino a riprenderla dopo essersi avvicinata alla realtà dell’AVIS, esperienza che l’ha portata a interrogarsi ulteriormente sulla sua esistenza spesa a servizio degli altri nell’associazione partendo dal pensare il sangue come dono: “Ricordavo che c'era qualcuno che il sangue ne aveva perso tanto e l'aveva dato per noi. Da lì in poi mi resi conto che c'era un vuoto nel mio percorso perché sì riuscivo a donarmi agli altri, ma non completamente. Potevo fare ancora ancora ancora di più”. E questo l’ha portata a dire il suo sì nella Chiesa sull’esempio di Maria.
Mons. Maniago, riprendendo le parole di Gesù: “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sarò lì”, ha sottolineato quanto fosse evidente la presenza del Signore durante la veglia: “Credo tutti noi lo abbiamo sentito presente il Signore. E come al solito ci ha stupito perché non si è fatto vedere in un modo chissà quale straordinario, non si è fatto vedere con effetti speciali, ma nelle parole, nei volti dei testimoni: Federica, Simone, i due sposi novelli, […] aver trovato le parole semplici, giuste, per comunicarci che cosa loro hanno vissuto come fa a non essere frutto di questa presenza di Gesù?”.
“E stasera una volta di più ci ha convocati – ha continuato l’Arcivescovo – per condividere quanto il dono grande che il Risorto ci ha fatto, quello dello Spirito Santo, sia importante, sia importante per la nostra vita, per la vita della Chiesa” e dopo aver ricordato quanto sia difficile scoprire i propri talenti e leggere i segni importanti nella nostra vita senza la luce dello Spirito, ha indicato uno dei simboli dello Spirito Santo che lo ha sempre colpito: il fuoco. “Quanto abbiamo bisogno che lo Spirito Santo, fuoco di Dio, sciolga il ghiaccio che abbiamo nel cuore […] ghiaccio quando siamo indifferenti, ghiaccio quando noi vivacchiano invece di desiderare di vivere come protagonisti della nostra vita, ghiaccio quando noi pensiamo che tutto ruoti intorno a noi e il resto del mondo faccia quello che gli pare, […] ghiaccio con cui costruiamo dei muri e impediamo alla passione del Signore davvero di avvolgere la nostra esistenza e ci impediamo di essere collaboratori con lui come lui desidera in un progetto e in un piano grande di vita”.
Nella riflessione di Mons. Maniago non poteva mancare Maria, presenza indispensabile nel giorno di Pentecoste: “Senza di lei sembra quasi impossibile invocare il dono dello Spirito […]. E allora con Maria chiediamo [al Signore] che rinnovi in noi questa abbondanza dello Spirito, ci faccia far memoria di quei sigilli che abbiamo ricevuto, di quel sigillo che abbiamo ricevuto con la Cresima, ci aiuti a far memoria del dono dello Spirito che ci ha dato anche con gli altri sacramenti, che sono sempre un agire di Dio nella nostra vita, e un seminare, un seminare e un infiammarci il cuore, perché davvero la nostra vita sia sempre più nel segno di un Gesù che aveva il cuore caldo, tanto caldo da dare tutto il suo sangue per noi, senza risparmiarne una goccia. […] E noi vogliamo che la nostra vita sia così, non un gioco al risparmio, perché la vita è questa, è questa l'opera che dobbiamo realizzare, un'opera d'arte su cui dobbiamo metterci tutta il nostro impegno. Non ci sono altre vite da vivere, non è un videogioco per cui consumata una vita se ne fa un'altra. No no, questa è un capolavoro, questo non è virtuale, questo è un'opera d'arte, la nostra vita. Per questo va curata, per questo va vissuta con attenzione e cura, perché è dono di Dio dato a noi, perché noi lo custodiamo e lo facciamo fruttare”.
La preghiera si è conclusa in Chiesa, dove l'Arcivescovo, dopo aver ringraziato i presenti e quanti hanno organizzato e collaborato alla realizzazione della veglia, ha impartito di cuore la benedizione del Signore.