MGFF, Abel Ferrara racconta il suo cinema e la passione che lo ha salvato
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Catanzaro, 5 Agosto - Suona il telefonino nel bel mezzo della masterclass. Abel Ferrara lo prende e risponde. Poi dice:” scusatemi ma il mio nome inizia per A, è il primo della rubrica, e ogni volta che uno si siede sopra al cellulare, per errore mi chiama”. È così Abel, diretto, sincero e simpatico. La terza masterclass della diciassettesima edizione del Magna Graecia Film Fetival ha visto ospite una leggenda del cinema mondiale, 50 anni di carriera, oltre 50 opere tra cortometraggi, documentari, film di finzione, presentati nei festival più importanti di tutto il mondo.
Stimolato dal giornalista e critico cinematografico Antonio Capellupo, Ferrara ha ripercorso cinquant’anni di emozioni, vissuti in maniera unica e originale. Ha soprattutto messo in evidenza quella grande passione che, come ha sottolineato in un suo intervento Alessandro Haber, lo ha salvato.
Vi proponiamo una sintesi dell’interessantissimo dialogo:
Abel Ferrara e la regia
Essere regista significa essere rompipalle. Inizi col torturare lo scrittore e poi, a mano a mano, inizi a torturare tutti gli altri, attori, tecnici, fino al montatore. L’importante, però, è che tutti devono sentirsi parte del gruppo, devono avere desiderio di farne parte e devono trasmettere energia all’attore. Perché l’attore riflette l’energia del gruppo.
Abel e i generi cinematografici
Come sostiene Kubrick, quando faccio un film io voglio reinventare il cinema. Non ho nessun interesse a ricalcare fedelmente un genere, io voglio sempre inventare qualcosa di nuovo, e non ripetere mai due volte lo stesso film.
Abel e la New York notturna del suo cinema
I miei film dei primi anni erano girati prevalentemente di notte perché noi vivevamo veramente di notte. Ho dovuto imparare a manipolare le luci per creare la luce del giorno. In questo momento, però, la luce che c’è qui è bellissima. I personaggi erano ispirati ai gangster.
Abel e la violenza nei suoi film
Anzitutto contro la violenza che opprime le donne. Nel cinema in cui io ho iniziato, le uniche opportunità per fare film erano quelle di film di sesso o violenti. Per noi ciò era perfetto perché era un periodo in cui eravamo tutti ribelli. Avevamo, quindi, la possibilità di interpretare noi stessi e fare soldi.
Abel e “The Driller Killer”
È stato il mio primo film come regista ma anche come attore. Ho dovuto interpretare il ruolo del protagonista perché ero disperato, nessuno voleva fare quel personaggio. Non avevamo soldi. Per girare, quindi, dovevamo aspettare il weekend per avere, grazie ad un’offerta generosa, la macchina da presa di uno studio che lavorava dal lunedì al venerdì.
Oggi si fa tutto più velocemente, “Tommaso” l’abbiamo girato in tredici giorni. A quel tempo, invece, in quelle condizioni, quale attore avrebbe voluto lavorare per me per due anni. Tra l’altro il protagonista era ispirato alla figura di un mio amico, quindi per me era anche più facile interpretarlo. Fisicamente imitavo lui, la voce, invece, copiavo quella di Clint Eastwood.
In ogni caso è stato importante per me recitare, altrimenti come avrei potuto poi insegnare agli altri a fare l’attore? Se non hai fatto quella esperienza è praticamente impossibile.
Abel e “Miami Vice”
Il mio primo lavoro pagato. Era incredibile. Ci trovavamo a New York, senza lavoro, non riuscivamo a mangiare e avevamo freddissimo. Un giorno mi hanno chiamato e mi hanno detto che qualcuno sarebbe venuto a prendermi e non mi hanno spiegato altro. È arrivata una limusne bianca, io mi sentivo come Cenerentola. Entro e c’è una bottiglia di champagne. Andiamo in aeroporto e ci aspetta una bellissima donna che mi apre lo sportello. Quando sei il regista di Miami Vice ti accompagnano fino all’aereo. Nel frattempo io mi ero finita quella bottiglia di champagne.
Fu un gran successo anche perché a quel tempo la TV era molto seguita e i canali erano pochi.
Abel e “China Girl”
Sono tornato a New York dove c’erano tutti i miei amici con cui avevo avorato in passato, non potevo abbandonarli. Abbiamo girato China Girl, una storia ispirata a Romeo e Giulietta, le due famiglie rivali erano una italiana di Little Italy e l’altra cinese di China Town.
Mulberry Street a Little Italy in quel periodo era magica. Piena di gangster e mafiosi. John Gotti era sempre per strada. C’erano i siciliani, i napoletani e anche i calabresi. Anche mio padre era una specie di gangster ed io, anche se non abitavo li, conoscevo bene quella realtà, essendo di famiglia italiana. Per me erano tutti eroi. Una strada divideva Little Italy e China Town, la mafia italiana da quella cinese, da qui l’idea del film. Un mondo che oggi non esiste più.
Abel e la musica
Io suono da quando avevo sedici anni, ma non lo faccio bene e canto anche peggio. Adoro, però, suonare e cantare e quando a casa sono da solo io mi sento Bruce Springsteen. Quando ero giovane ascoltavo tanta radio, erano gli anni dei migliori artisti. Il film è l’insieme di ciò che vediamo e ciò che sentiamo.
Abel e la passione
Passione per me è vivere la vita al massimo, in famiglia, a lavoro, dovunque. Io non mi sono mai fermato.
Abel, la droga e l’alcol
Dai sedici anni ai sessanta ho fatto uso di droga e alcol. Cocaina ed eroina.Ad un certo punto ero un’anima persa. Sono andato in una comunità a Caserta e finalmente sono riuscito a smettere. Ora sono Buddista e non lo puoi essere se bevi e fai uso di droga. Da otto anni non faccio più uso di queste sostanze.
Abel e i soldi
Abbiamo fatto “Tommaso” con pochi soldi, ne stiamo girando un altro senza soldi. Essi non hanno mai avuto effetto sul mio lavoro.
Saverio Fontana