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PALERMO, 30 MAGGIO - La mafia e' questo: una stratificazione di orrore e violenza. L'ultimo caso risolto di lupara bianca conferma la natura di Cosa nostra, affastellata congrega di uomini del disonore. Le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Antonino Pipitone, della cosca di Carini, e dei pentiti Gaspare Pulizzi e Francesco Briguglio, continuano ad aprire squarci sull'abisso. [MORE]
Cosi' ecco oggi la svolta su un omicidio di mafia dopo 17 anni, con i carabinieri che hanno dato esecuzione all'ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di quattro esponenti di spicco di Cosa nostra: Ferdinando Gallina, Giovan Battista Pipitone, Vincenzo Pipitone e Salvatore Gregoli, accusati dell'omicidio di Giampiero Tocco, ucciso con il metodo della lupara bianca, strangolato e sciolto nell'acido. Il 26 ottobre del 2000 era stato sequestrato da un commando di uomini travestiti da poliziotti che avevano inscenato un posto di controllo a Terrasini: quando lo fermarono, mentre era alla guida del suo fuoristrada, a bordo c'era la figlia di sei anni che venne risparmiata.
Fu proprio la bambina a chiamare poi la madre e fornire poi indicazioni sull'accaduto attraverso un disegno che ha tracciato una strada culminata agli arresti di oggi. Un delitto per punire il coinvolgimento di Tocco nell'uccisione di Giuseppe Di Maggio, figlio di Procopio, gia' reggente della cosca mafiosa di Cinisi e storico alleato di Toto' Riina. Pochi mesi fa, a fine novembre, l'arresto dei responsabili di altri omicidi commessi nello stesso periodo: il drammatico caso della Fiat Uno con i corpi di Antonino Failla e Giuseppe Mazzamuto, sepolta in una voragine aperta e poi ricoperta con un escavatore: i carabinieri la stanno cercando attivamente, nelle campagne fra Carini, Torretta, Villagrazia, Capaci e Cinisi, in provincia di Palermo, con l'aiuto di speciali metal detector e di georadar. Secondo gli inquirenti i sicari attirarono all'interno di un'abitazione Failla e Mazzamuto, i quali, ritenuti responsabili di un incendio, vennero torturati e uccisi, il primo strangolato, l'altro con un colpo di pistola alla testa.
Sono tanti i delitti di cui stanno parlando alcuni dei collaboratori: fra questi l'eliminazione del boss Benedetto Spatola, detto Lino, attirato in un tranello al quale si presento' con due regali, un coniglio e una bottiglia di champagne, destinati a coloro che sarebbero diventati poi i suoi carnefici, i capimafia di Tommaso Natale Salvatore e Sandro Lo Piccolo, padre e figlio. Fu quest'ultimo, poi, a strangolare Spatola, che pago' cosi' - nel settembre del 2006 - la sua voglia di tornare a comandare, dopo essere stato scarcerato e avere espiato l'ennesima condanna per mafia, riportata al "maxiquater".
Spatola tra l'altro non capi' di dover stare in guardia: il mese prima, il 22 agosto di dieci anni fa, era infatti scampato alla morte, perche' un commando di killer aveva ucciso al suo posto Giuseppe D'Angelo, un tranquillo - e soprattutto estraneo all'ambiente mafioso - ex barista, scambiato proprio per Spatola. Failla e Mazzamuto vennero assassinati perche' sospettati di avere partecipato alla "lupara bianca" costata la vita a Luigi Mannino, anche lui di Carini e parente di Salvatore Lo Piccolo, ma anche per avere rubato in un supermercato "protetto" da Cosa nostra. La sparizione di Mannino e' del 19 aprile 1999 e una settimana dopo scomparvero i due presunti assassini: i corpi, caricati sulla Fiat Uno, vennero "vurricati" - cosi' racconto' Pulizzi, per dire sepolti, in dialetto - con tutta l'auto. I loro resti non sono stati ancora ritrovati, mentre un piede e altre parti del cadavere di Spatola e di Giovanni Bonanno, altro boss inghiottito dalla lupara bianca, ma a gennaio 2006, furono recuperati nel fondo Pottino di Villagrazia di Carini.