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ROMA, 1 SETTEMBRE 2011 – Lo scenario emerso dallo studio dell'ACLI (Associazioni cristiane lavoratori italiani), dedicato al tema del lavoro “scomposto”, dimostra che si allunga la distanza tra lo stipendio dei dirigenti e quello degli operai nel settore privato.
356 euro al giorno è la differenza che passa tra un dirigente e un operaio: questo uno dei dati che emergono dal dossier statistico preparato dall'Iref, l'Istituto di ricerca delle Acli, preparato in occasione dell'incontro annuale delle Associazioni cristiane dei lavoratori italiani. La ricerca mette a confronto le retribuzioni medie giornaliere dei lavoratori dipendenti nelle diverse professioni del settore privato.[MORE]
Rispetto alla retribuzione media giornaliera (82 euro), un dirigente guadagna 340 euro in più al giorno, un quadro 111 euro, un impiegato 6 euro in più. Ma la differenza si amplifica nei confronti di un operaio, la cui retribuzione è di 16 euro inferiore alla media. Peggio di lui solo il lavoratore apprendista, che guadagna in meno 31 euro al giorno. Le donne, rispetto agli uomini, ricevono in media al giorno 27 euro in meno. “I dati mettono in evidenza una divaricazione eccessiva delle retribuzioni - sostiene il presidente delle Acli, Andrea Olivero - che non può non essere presa in considerazione in queste ore in cui si discute di sacrifici per il Paese. Occorre assolutamente ripristinare nella manovra economica il contributo di solidarietà e la misura patrimoniale”.
La ricerca valuta diversi aspetti. Il lavoro sommerso: 12 posti di lavoro su 100 sono oggi irregolari, 18% al Sud e il 27% in Calabria. La struttura della produzione: solo lo 0,1% di grandi imprese contro lo 0,5 della Germania e lo 0,4 della Gran Bretagna.
Lo scarso peso del settore ricerca e sviluppo all’interno delle imprese. Gli “addetti alla conoscenza” nel privato sono poco più di 100 mila contro i quasi 700 mila del Giappone e i 341 mila della Germania. L’anno scorso nella ricerca si sono persi 178 mila posti di lavoro, tra tecnici e dirigenti ricercatori.
E poi c'è il grande problema dell'occupazione giovanile. In Italia, nella fascia tra 15 e 24 anni, il tasso di occupazione è del 24 per cento contro il 47 per cento della Germania e il 52 per cento del Regno Unito e il nostro è il peggior dato di tutta Europa, ad esclusione di Lussemburgo, Grecia e Ungheria.
Lidia Tagnesi