L'Aquila cinque anni dopo: la memoria di quel giorno che è ancora lì
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L’AQUILA, 6 APRILE 2014 – Sono passati cinque anni ormai da quella famosa notte del 6 aprile 2009, quando un terremoto, di magnitudo 6,3, devastò il capoluogo abruzzese alle 3:32 di notte. Ci furono 309 vittime, 1500 feriti e 70mila sfollati, alcuni dei quali non hanno ancora fatto rientro nella loro città.
Sono passati cinque anni, ma le macerie sono state spostate solo poco più il là, di quattro chilometri precisamente, e il centro storico è ancora la zona rossa del 2009. Visite, richieste di fondi, atti di vera e propria sfida, come quelli adottati dal sindaco Massimo Cialente, ma la città si muove lentamente, cercando ancora di ricominciare da quella notte che ha tolto tutto e segnato un passaggio storico tra quello che c’era prima e quello che è ora L’Aquila.
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Gli aquilani, come ogni anno da allora, si sono mossi in un corteo in ricordo delle vittime: le fiaccole sono partite da via XX settembre, dove si trovava la casa dello studente, fino a Piazza Duomo, altro luogo simbolo del sisma. Nella chiesa delle Sette Anime, l’arcivescovo de L’Aquila, Giuseppe Petrocchi, ha letto i nomi delle 309 vittime, seguiti dai 309 rintocchi di campana poco dopo le 3:32, ‹‹i familiari delle vittime hanno il diritto alla sofferenza e gli altri il dovere del rispetto per la loro sofferenza››.
Alla fiaccolata erano presenti anche il sottosegretario all’economia, Giovanni Legnini, che ha rivolto un pensiero agli aquilani, ‹‹è un fatto che la ricostruzione sia partita e gli aquilani sono sicuramente più fiduciosi›› e il governatore uscente Gianni Chiodi; a distanza, anche Papa Francesco che ha pregato per le vittime e per la risurrezione del popolo aquilano nella loro spiritualità.
La ricostruzione, nella quale tanto si spera, parte dalla massa confusa di calcinacci, che formano una collina sopra una cava in campagna, che da cinque anni or sono, dovrebbero riempire il buco e dare luogo ad uno spazio di rinascita, un prato in ricordo. Ma i calcoli furono sbagliati e non basta solo la cava di Pontiglione, ma è stata necessaria una nuova cava, quella del comune di Barisciano, per contenere il mezzo milione di tonnelate di macerie che sono state portate via da quel giorno in poi. ‹‹Ci hanno lasciato soli›› commenta il sindaco, Massimo Cialente, costatando i sacrificio che sono stati fatti per portarli via e i fondi che mancano, mancano sempre.
Mancano i soldi, mancano i fondi e mancano i giovani nella città fantasma, che spera sempre e combatte ancora per far sentire la sua voce, ma di tutte le promesse, poche sono quelle che sono state mantenute e tante ancora devono ancora essere prese in causa dalle Istituzioni. Una scia di richieste e di rassicurazioni che partono ancor prima di quel fatidico 6 aprile 2009, quando era stata infusa sicurezza ai cittadini sulla loro solida città e che ancora oggi non cessano di esistere.
Nell’ultimo anno si è arrivati a pensare che per il 2018 si potrebbe dare un volto nuovo alla città, grazie ai 12 milioni che sono stati già spesi, ma la ricostruzione si potrebbe fermare di nuovo se non verranno dati 700 milioni aggiuntivi per il 2014. C’è ancora tanto da fare e, se la magistratura ha già puntato il dito contro i responsabili della Commissione Grandi Rischi, il comune cerca sostegno nelle istituzioni, nonostante le indagini sulle tangenti e nonostante la burocrazia crei forti disagi nella velocizzazione dei lavori, cerca sostegno per andare avanti ancora dopo cinque anni, perché non si può lasciare un territorio verso il quale si è promesso tanto ancora in questo stato e perché la città merita di rinascere non solo per sé stessa, ma anche per un’Italia migliore.
Erica Benedettelli
[immagine da repubblica.it]