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14 DICEMBRE 2015 - Ci troviamo difronte ad una osservazione particolare! Cerchiamo di comprenderla con semplicità, ma anche con grande sincerità d’animo, senza girare intorno alle parole. Penso che si faccia fatica ad entrare nella misura della vera compassione, perché oggi l’uomo, anche quando offre all’altro il suo aiuto materiale, non va mai oltre. Si ferma alla parte visibile e non partecipa al disastro interiore di chi, per un motivo o l’altro, gli sta davanti. Interessante questa osservazione del mio maestro spirituale che offro alla vostra attenzione e riflessione: “Quando noi nell’uomo separiamo spirito, corpo e anima, serviamo solo il corpo, lasciando nell’ignoranza di Dio lo spirito e nel peccato l’anima, nella disperazione i pensieri, nella confusione le idee, e ci dedichiamo solo al corpo, la nostra non è vera compassione. Manca dell’universalità. La parzialità non è mai vero amore, vera misericordia, vera carità. Non è servizio all’uomo, ma ad una parte di esso”. [MORE]
Da queste parole si evince che la vera compassione non può fermarsi solo ad una parte della persona che si vuole aiutare. Un’osservazione profonda che vale per ognuno, anche per chi, fosse anche la stessa Chiesa, dovesse vedere il povero soltanto per la mancanza di vestiti o di pane e non si accorgesse della mancanza in lui di luce, verità, giustizia, santità. Ci troveremmo dinnanzi ad una compassione umana, parziale, vincolata a degli aspetti di natura logistica o alimentare. È quello che succede oggi. Spesso la solidarietà risponde al bisogno periodico di “lavare” la propria coscienza, rifiutando categoricamente di avere un qualsiasi contatto fraterno con chiunque sia stato sostenuto dal punto di vista materiale. Conosco gente che non ha mai esitato di mettere le mani nel portafoglio per aiutare qualcuno, e va per questo chiaramente ringraziata, ma che nello stesso tempo ha sempre rifiutato di accennare ad un minimo di interesse fraterno nei suoi confronti.
La cosa è più grave quando si tratta di credenti che operano quotidianamente nel nome del Signore. Un cristiano non può non sapere che la pietà di Cristo è stata sempre verso l’uomo nella sua interezza. Quando nell’uomo si separa spirito, corpo e anima, si serve solo il corpo, lasciando nell’ignoranza di Dio lo spirito. Si lasciano di riflesso anche l’anima nel peccato, i pensieri nella disperazione e le idee nella confusione. L’attenzione sarà riservata solo all’aspetto fisico. Questa non è vera compassione, manca dell’universalità. La parzialità potrà mai essere vero amore? Vera misericordia? Vera carità? No, non lo potrà mai essere, perché essa non è servizio all’uomo, ma solo ad una parte di esso. Non esagero se mi spingo a dire che urge una rivoluzione culturale e di purissima fede, specie in questo anno speciale del Giubileo della Misericordia.
Bisogna passare dalla categoria materiale del povero alla categoria spirituale, teologica. Se riflettiamo un attimo non avremo dubbi ad affermare che il vero povero è chiunque non abbia avuto mai Dio. Un boccone di pane è molto più facile da rimediare anche ogni giorno, ma non è così facile puntellare la povertà di chi è senza il Signore nella sua vita. In tal senso anche un vescovo, un prete, un capo di stato, un teologo, un professionista, ecc. potrebbero essere poveri, molto poveri. Un’immagine di autentica compassione è nel brano del vangelo che vede il Figlio dell’Uomo davanti ad una moltitudine di poveri nel corpo e nello spirito. Gesù mette subito a loro servizio la sua parola, la sua preghiera, il suo amore puro. Non si risparmia. Moltiplica i pani e i pesci e li sfama; offre loro la sua fede nel Padre e li rigenera nel cuore e nella mente. Ha compassione vera, non quella a metà!
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