Presidente della CEC, mons. Vincenzo Bertolone. "senza foreste, deserti"
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«L’amor finisce dove finisce l’erba e l’acqua muore. Dove sparendo la foresta e l’aria verde, chi resta sospira nel sempre più vasto paese guasto: “Come potrebbe tornare a esser bella, scomparso l’uomo, la terra”».
I versi di Giorgio Caproni, nella giornata del Creato, suonano attuali, in queste settimane degli incendi che stanno devastando il polmone del mondo, cuore della casa comune. L’Amazzonia brucia: da gennaio ad oggi, secondo il National Institute for Space Research, i roghi nell’area amazzonica sono aumentati del 67%., e in meno di un anno la superficie boschiva è diminuita del 20%, pari all’intera estensione della Colombia. Le conseguenze? drammatiche: l’Amazzonia misura circa 7,8 milioni di chilometri quadrati, qualcosa come 23 volte l’Italia, ed è un enorme sistema in grado di assorbire l’anidride carbonica dall’atmosfera. Le ragioni principali della sua importanza sono la funzione di generare l’acqua dolce, che raggiunge il 20% della produzione planetaria, e la ricchezza di biodiversità, che la rende un luogo strategico per la Terra. Conta insomma per quello che offre il suolo ma pure per quello che nasconde nel sottosuolo: oro, rame, tantalio, minerali ferrosi, nickel e manganese.
Per questo l’Amazzonia è diventata terra di conquista per l’accaparramento delle risorse. A pagare sono l’ambiente, le persone (riunite in 390 popolazioni indigene) con i loro diritti. Le minacce più gravi arrivano dalla deforestazione, dall’inquinamento e dai progetti di grandi infrastrutture, che rendono evidente quanto la Terra non sia più in grado di sopportare l’intervento predatorio di un’attività tanto irresponsabile da essere non “umana”, ma disumana, coincidente con il modello dominante di sviluppo che papa Francesco, nell’enciclica Laudato si’, indica con l’espressione di «globalizzazione del paradigma tecnocratico», per il quale il pianeta è una merce e come tale può essere trattato senza scrupoli. Ma ciò che le cronache raccontano evidenzia una grande verità: l’uomo non è padrone del pianeta e non si può più lasciare l’Amazzonia nelle mani di quanti uccidono natura e uomini con la stessa indifferenza e convinzione.
È tempo perciò di spezzare il paradigma che per secoli ha visto in questa regione uno spazio, vuoto, sprecato, una dispensa inesauribile da saccheggiare per soddisfare gli appetiti del capitale e le brame di interessi esterni. Non è un caso, del resto, che il prossimo ottobre, deciso con lungimiranza da Papa Francesco già da tempo, i Vescovi, si occuperanno, nel prossimo sinodo di ottobre, proprio dell’Amazzonia . All’appuntamento si arriva seguendo le tracce di un instrumentum laboris, nel quale se ne parla esplicitamente come nuovo soggetto, con l’intento di tutelarne e valorizzarne il volto missionario ed il ruolo centrale nella storia, nel futuro e nella vita dell’umanità intera, secondo indicazioni e necessità, anche spirituali, magistralmente definiti da François-René de Chateaubriand in uno dei suoi fulminanti aforismi: «Le foreste a precedere le civiltà, i deserti a seguire».
+ Vincenzo Bertolone