La giustizia è troppo lenta, che fare?
L'esperto risponde

La giustizia è troppo lenta, che fare?

domenica 5 dicembre, 2010

 DOMANDA LETTORE

Sono in causa da circa 5 anni con il mio ex datore di lavoro per ferie non pagate per 7 anni e relativa indennità di disagio come il tutto previsto dal Ccnl, Contratto collettivo nazionale di lavoro, per piloti di elicottero ed. 2001 e mai rinnovato. La disputa si sta svolgendo presso il tribunale di Foggia in quanto sede legale ed operativa della sociertà per la quale lavoravo.[MORE]

Per un motivo o un altro la causa è sempre stata rimandata ad altra data. L'ultima volta è successo a fine ottobre ed è stata rinviata a metà marzo per mancata comparizione dei testimoni.

Sono in pensione dal dicembre 2005 dopo circa 37 anni di attività come pilota di elicottero, riuscendo a venirne fuori tutto intero. Per avere riconosciuti i miei diritti cosa si devo fare? Perchè la giustizia italiana è così lenta? Ho avuto modo di ascoltare lo spot sulla "Mediazione", del Ministero della Giustizia andato, in onda sulle reti Rai. Spero che funzioni! 

 

RISPOSTA AVVOCATO

Egregio Lettore,

tenuto conto della pendenza di un contenzioso avente ad oggetto le pretese da Lei vantate e della circostanza che le scarne informazioni fornite non consentono comunque di offrire un adeguato parere relativo al merito alla controversia già in atto, mi rimane di offrire alcune delucidazioni in ordine ai tempi spaventosamente lunghi della Giustizia Italiana.

Lo sfogo da Lei manifestato in ordine alla lentezza della giustizia italiana in relazione alla durata dei processi non solo civili ma anche penali, amministrativi e tributari, rappresenta un dato oramai drammaticamente noto.

La situazione è così tragica ed incardinata in quella che è divenuta una prassi ormai costante che la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha condannato lo Stato Italiano a corrispondere risarcimenti per violazione della ragionevole durata del processo in quasi il 100% dei casi.

Preme comunque segnalare alla Sua attenzione che esiste oggi uno strumento efficace per tutelarsi contro gli estenuanti tempi della Giustizia.
Si tratta della Legge del 24/03/2001 n. 89 (Legge Pinto), che ha introdotto, in Italia, il diritto al risarcimento del danno per eccessiva durata dei processi, la c.d. equa riparazione.
Tale tutela giuridica viene applicata in tutti quei casi in cui vi sia stata violazione del termine ragionevole di un processo che consente di valutare e condannare a un'equa riparazione la P.A. (Ministero della giustizia quando si tratta di procedimenti del giudice ordinario, del Ministero della difesa quando si tratta di procedimenti del giudice militare, negli altri casi è proposto nei confronti del Ministro dell’economia e delle finanze ).

Questa legge è la risposta effettiva agli esasperanti tempi processuali e prevede il diritto a un'equa riparazione del danno sia patrimoniale che per tutti coloro che hanno subito un processo di durata eccessiva.

Per quanto riguarda i danni patrimoniali, occorre dimostrare che il lungo iter processuale, di cui si lamenti l'eccessiva durata, abbia causato specifici danni al patrimonio (ad esempio, la perdita di reddito, ovvero l'impossibilità di acquisire proventi).

Quanto ai danni non patrimoniali, l’art. 2 della Legge 89/01, I comma statuisce che “Chi ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione, ha diritto ad una equa riparazione”

E, difatti, la Corte di Cassazione si è adeguata alla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale conferma che, in tema di equa riparazione, “ai sensi dell'art. 2, della Legge 24 marzo 2001, n. 89, il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all'art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.”

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha fissato in anni 3 il termine di ragionevole durata per i giudizi in primo grado, 2 anni per l’appello e 1 per la Cassazione. La stessa ha altresì stimato, in relazione ai danni non patrimoniali, quale equa riparazione per singolo anno eccedente i limiti sopra indicati, un importo compreso tra i 1.000 ed i 1.500 euro.

Quindi, ogni cittadino che abbia subito un giudizio estremamente lungo può richiedere il risarcimento del danno per eccessiva durata del processo, o durante la pendenza dello stesso, nel cui ambito la violazione si assume verificata, ovvero, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione, che conclude il medesimo procedimento, è divenuta definitiva, indipendentemente dall'esito positivo o negativo della sentenza.

In sintesi: poiché il danno non patrimoniale costituisce una conseguenza della violazione, è normale che l'irragionevole lunghezza di un processo produca, nella parte coinvolta, afflizioni, ansie, sofferenze morali che non occorre dimostrare. Le conseguenze non patrimoniali, quindi, possono ritenersi presenti senza il bisogno di alcuna prova relativa al singolo caso.

Concludendo: il giudizio pendente presso il Tribunale di Foggia già da circa cinque anni (per come riferito), ha dunque oltrepassato il limite di 3 anni di cui sopra. Pertanto ricorrerebbero i presupposti per poter legittimamente inoltrare la domanda di equa riparazione sempre che ne ricorrano le condizioni tracciate dalla Legge Pinto e dalla Corte Europea.

Per quel che concerne poi la mancata comparizione dei testi, Le posso dire che la testimonianza costituisce un dovere civico, a cui la persona non può sottrarsi, se non per motivi che devono essere seri e giustificabili.

Una volta citato, il testimone ha l’obbligo di presentarsi, di attenersi alle prescrizioni date dal giudice in relazione alle esigenze processuali e di rispondere secondo verità alle domande che gli vengono rivolte.

L’articolo 255 c.p.c., intitolato Mancata Comparizione dei Testimoni, indica il caso in cui i testimoni regolarmente intimati non si presentino. In questo caso il giudice istruttore può ordinare una nuova intimazione oppure disporre l’accompagnamento all’udienza. L'obbligo di comparizione presuppone, in ogni modo, che il testimone sia stato ritualmente e tempestivamente citato con intimazione, regolarmente notificatagli.

Essendo quindi un dovere civico, in caso di mancata comparizione vi è collegata una pena pecuniaria ben precisa che viene indicata nello stesso articolo 255 c.p.c.

La scelta del provvedimento da adottare è rimessa, comunque, all'apprezzamento discrezionale del Giudice. In ogni caso, tali provvedimenti possono essere pronunciati soltanto nell'ipotesi che il G.I. ritenga ingiustificata la mancata comparizione del teste, dovendo, altrimenti, limitarsi a rinviare ad altra udienza l'assunzione della prova.

Cordialità,

Avvocato Mariarosaria Varano
 


Autore
https://www.infooggi.it - Il Diritto Di Sapere

Entra nel nostro Canale Telegram!

Ricevi tutte le notizie in tempo reale direttamente sul tuo smartphone!

Esplora la categoria
L'esperto risponde.