La domanda di demolizione di un bene in comproprietà va estesa a tutti i comproprietari
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COSENZA, 28 OTTOBRE - Nell’azione legale volta alla riduzione in pristino di una abitazione in proprietà o possesso di più persone, una sentenza che venga pronunciata non nel contraddittorio di tutti i proprietari/possessori risulterà invalida e inutiliter data, per il fatto che l’eventuale demolizione del bene comporterebbe pregiudizi per tutti i succitati soggetti, non essendo ipotizzabile una riduzione in pristino limitata alla quota di un solo comproprietario. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza n. 27361/2019, depositata il 24 ottobre.
Il caso. La proprietaria di un appartamento al primo piano di un edificio, nonché dell’attigua cucina realizzata in luogo di una preesistente legnaia e latrina, agiva in giudizio avverso la proprietaria dell’appartamento sito al terzo piano del medesimo stabile in quanto quest’ultima aveva realizzato, in adiacenza al preesistente fabbricato, una costruzione che sovrastava la sua cucina e occupava in parte abusivamente un terreno di sua proprietà. La nuova struttura, inoltre, era stata realizzata con l’apertura di luci a distanze inferiori a quelle prescritte dalla legge. Per tali motivi parte attrice domandava la riduzione in pristino della struttura realizzata dalla convenuta, o quantomeno l’arretramento della stessa fino al rispetto delle distanze legali e dei confini e il conseguente risarcimento dei danni e pagamento delle spese di lite. Si costituiva in giudizio la convenuta deducendo la legittimità della costruzione, in quanto realizzata conformemente a quanto stabilito nell’atto di divisione del 1951, con il quale era stato riconosciuto alla madre, sua dante causa, il diritto di costruire nuovi vani a oriente del fabbricato, usufruendo gratuitamente del muro esistente. Inoltre, con diverso atto di citazione la proprietaria dell’abitazione del terzo piano citava in giudizio i proprietari dell’appartamento del secondo piano, anch’essa lamentando alcune presunte illiceità nelle costruzioni dagli stessi realizzate. Il Tribunale di prime cure in primo luogo disponeva la riunione dei giudizi per comunanza dell’oggetto, ammettendo in seguito istanza di CTU sui luoghi al fine di comprendere lo stato degli stessi. All’esito dell’attività istruttoria, il Giudice di primo grado riconosceva le ragioni dell’attrice e condannava la convenuta all’arretramento della propria abitazione con riguardo alla porzione edificata sul terreno attoreo, alla rimozione delle vedute realizzate senza il rispetto delle distanze legali e rigettava tutte le restanti domande dichiarandole inammissibili.
Avversa tale sentenza, parte convenuta interponeva appello lamentando principalmente l’invalidità della decisione di prime cure per mancata integrazione del contraddittorio. La Corte d’Appello territoriale accoglieva l’appello e dichiarava la nullità della sentenza appellata, per omessa integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i litisconsorti necessari, rimetteva le parti davanti al Giudice di primo grado ex art. 354 c.p.c. e compensava le spese del grado di appello.
Avversa tale sentenza, la proprietaria dell’appartamento del piano terra proponeva ricorso per cassazione lamentando la nullità dell’impugnata sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 948, 949, 950 e 873 c.c., artt. 102 e 354 c.p.c.. Secondo la ricorrente, infatti, la Corte d’Appello aveva errato nel riformare la decisione del giudice di prime cure. Infatti, il Tribunale aveva correttamente accolto la domanda di riduzione in pristino della parte edificata in violazione delle normative sulle distanze, limitatamente alla convenuta. Stante la condanna limitata alla sola convenuta, pertanto, non vi sarebbe stato alcun bisogno di integrazione del contraddittorio con gli altri comproprietari delle unità immobiliari del complesso abitativo. I Giudici di legittimità rigettavano totalmente tale ricostruzione ritenendo che la Corte d’Appello territoriale aveva valutato correttamente la necessità dell’integrazione del contraddittorio, stante la situazione di condivisione e comproprietà all’interno delle abitazioni oggetto di causa. Altresì, l’abitazione costruita sul terreno dell’attrice era di proprietà della sola convenuta, ma, come emerso dalla C.T.U., l’intero complesso abitativo era costruito in modo da essere interamente connesso e sostenuto dalle medesime strutture di modo che “con riferimento al caso di specie, la innegabile necessità di un intervento di abbattimento coinvolgente le strutture portanti dell’edificio, quali i pilastri, i solai e i muri comuni, come desumibile dal contenuto della svolta ctu, avrebbe dovuto comportare, alla stregua degli enunciati principi, la integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i soggetti proprietari dei beni sui quali tale intervento era destinato a incidere”. Le ragioni della parte ricorrente, peraltro, non suggerivano alcun vizio logico nella sentenza della Corte d’Appello e riguardavano unicamente una revisione delle circostanze di fatto oggetto della causa, inammissibile in grado di legittimità. Pertanto, secondo il Supremo Collegio, correttamente la Corte d’Appello aveva ritenuto la decisione di prime cure inutiliter data e aveva disposto ai sensi dell’art. 354 c.p.c. la rimessione del giudizio al primo grado.
Per tali motivi la Corte di Cassazione rigettava il ricorso e condannava la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità.
Avv. Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express