«Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo» Giornata del Malato
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30 GENNAIO 2015 - L’11 febbraio, memoria della beata Vergine Maria di Lourdes, ricorre la XXIII Giornata Mondiale del Malato, istituita da san Giovanni Paolo II. Il tema di quest’anno scelto da Papa Francesco è tratto dal libro di Giobbe e porta questo titolo: «Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo» [MORE]
Nel discorso di Giobbe che contiene le parole «io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo», si evidenzia la dimensione di servizio ai bisognosi da parte di quest’uomo giusto, che gode di una certa autorità e ha un posto di riguardo tra gli anziani della città. La sua statura morale si manifesta nel servizio al povero che chiede aiuto, come pure nel prendersi cura dell’orfano e della vedova (vv.12-13). Giobbe era come una natura aggiunta per ogni bisognoso, più che accompagnatore, più che sostegno, più che compagno, più che ogni altra cosa. Tanto grande era l’amore di Giobbe, la sua carità, la sua misericordia per i ciechi e per gli zoppi. Era la loro stessa natura. Poveri e sconosciuti sono oggetto del suo grande amore. “Padre io ero per i poveri ed esaminavo la causa dello sconosciuto”.
La paternità indica non occasionalità, bensì perennità, stabilità, durata. Il padre è colui che sempre si prende cura. Non vi sono per Giobbe differenze tra cittadini e stranieri. Lui rende giustizia ad ogni uomo. Anche dello sconosciuto lui si occupa e si preoccupa. Nessuno viene privato della sua grande carità e misericordia. A nessuno toglie il suo aiuto e il suo sostegno. Non solo Giobbe fa il bene. Difende anche dal male: “Spezzavo le mascelle al perverso e dai suoi denti strappavo la preda”. Giobbe non permetteva che il perverso agisse malvagiamente. Non lasciava che se ne andasse con la sua preda. Ecco, questo è Giobbe e queste sono le sue opere di verità e carità.
Allora, Papa Francesco ci invita a meditare sulla bellezza di poter essere aiuto concreto per il fratello. Scrive il Papa ricordando: “Quanti cristiani anche oggi testimoniano, non con le parole, ma con la loro vita radicata in una fede genuina, di essere "occhi per il cieco" e "piedi per lo zoppo"! Persone che stanno vicino ai malati che hanno bisogno di un’assistenza continua, di un aiuto per lavarsi, per vestirsi, per nutrirsi. Questo servizio, specialmente quando si prolunga nel tempo, può diventare faticoso e pesante. È relativamente facile servire per qualche giorno, ma è difficile accudire una persona per mesi o addirittura per anni, anche quando essa non è più in grado di ringraziare. E tuttavia, che grande cammino di santificazione è questo! In quei momenti si può contare in modo particolare sulla vicinanza del Signore, e si è anche di speciale sostegno alla missione della Chiesa”.
Queste parole le possiamo rileggere anche sotto un’altra prospettiva, sotto punto di domanda, ovvero, quanti cristiani sono disposti a fare tutto ciò. Nel suo messaggio il Pontefice parla di sapienza del cuore e la spiega in tre brevi passaggi. Innanzitutto, la sapienza del cuore è stare con il fratello. Il tempo passato accanto al malato è un tempo santo. Mentre ci si prende cura dell’altro si viene curati, sanati e fortificati interiormente dall’amore di Dio.
Sapienza del cuore, poi, è, secondo Bergoglio, uscire da sé verso il fratello. “Il nostro mondo dimentica a volte il valore speciale del tempo speso accanto al letto del malato, perché si è assillati dalla fretta, dalla frenesia del fare, del produrre, e si dimentica la dimensione della gratuità, del prendersi cura, del farsi carico dell’altro”. In fondo, dietro questo atteggiamento c’è spesso una fede tiepida, che ha dimenticato quella parola del Signore che dice: «L’avete fatto a me» (Mt 25,40).
Sapienza del cuore è, infine, essere solidali col fratello senza giudicarlo. La carità ha bisogno di tempo. Tempo per curare i malati e tempo per visitarli. Tempo per stare accanto a loro come fecero gli amici di Giobbe: «Poi sedettero accanto a lui in terra, per sette giorni e sette notti. Nessuno gli rivolgeva una parola, perché vedevano che molto grande era il suo dolore» (Gb 2,13). Ma gli amici di Giobbe nascondevano dentro di sé un giudizio negativo su di lui: pensavano che la sua sventura fosse la punizione di Dio per una sua colpa. Invece la vera carità è condivisione che non giudica, che non pretende di convertire l’altro; è libera da quella falsa umiltà che sotto sotto cerca approvazione e si compiace del bene fatto.
Abbiamo molto da imparare sul mistero dell’amore verso il fratello e, soprattutto, nei confronti del fratello malato. Lo faremo se ogni giorno saremo disposti a metterci all’ascolto del Maestro Gesù.
Don Francesco Cristofaro
www.donfrancescocristofaro.it