Il Kurdistan ha un nome, si chiama Kurdistan: Intervista alla Dott.ssa Rezan Kader
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La Dott.ssa Rezan Kader è nata a Sulaymaniyah, capitale culturale del Kurdistan. Dalla fine degli anni 70 agli inizi degli anni 80 è stata attiva nel movimento studentesco in lotta per i diritti umani nella regione. Costretta a lasciare il proprio paese, a causa dell'intensificarsi delle persecuzioni del regime baathista, si reca in Italia ma è solo in Francia che ottiene il riconoscimento di status di rifugiata politica. Ritorna poi in Italia per frequentare la facoltà di Medicina. Dal 1988 è rappresentante delle donne curde in Italia. Negli anni '90 ha intensificato la propria attività d'informazione relativa alla drammatica situazione del Kurdistan. Con la caduta di Saddam Hussein, è stata nominata Alto Rappresentante del Governo Regionale del Kurdistan (KRG) in Italia. L'Ufficio di Rappresentanza del KRG in Italia è stato ufficialmente inaugurato nel 2010 dal Presidente Masoud Barzani.
ROMA, 12 MAGGIO 2014 – Era la fine della Guerra del Golfo, nel 1991, quando l'area che oggi prende il nome di Kurdistan Iracheno si presentava come una regione completamente devastata. Si veniva fuori dalle campagne militari di Saddam, iniziate negli anni '70 e culminate con il tragico genocidio di Anfal nel 1987-88, quando furono sterminati più di 200,000 curdi e rasi al suolo circa 4,000 villaggi. Fu nella primavera del 1991, quando alla fine dell'operazione Desert Storm, circa la metà dei quattro milioni presenti nell'area raccolsero i propri averi alla meno peggio, per sfuggire alle armate di Saddam che avanzavano, minacciando di inondare le aree appena prossime al confine turco e iraniano di un mare di rifugiati.
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Fu allora che gli Stati Uniti, la Francia e la Gran Bretagna risposero con la controversa operazione Provide Comfort e una No - Fly Zone nel nord del paese, impedendo a Saddam di portare avanti il suo piano criminale, e provvedendo a creare un rifugio sicuro in cui i curdi potessero serenamente ritornare. Fu poi Baghdad a ritirare il proprio personale civile e militare dalla regione, portandosi con sé apparati di governo, svuotando i depositi, e non lasciando neanche le lampadine, negli uffici governativi. I curdi erano liberi per la prima volta, nel 1991, ma costretti a gestire un'area devastata dalla guerra, un'area montuosa dalle dimensioni della Svizzera, affollata di orfani, vedove e mutilati di guerra.
È la stessa area che oggi la Dott.ssa Rezan Kader, Alto Responsabile del Governo Regionale del Kurdistan dell'Iraq in Italia, ama chiamare la «Svizzera incontaminata»:
"La regione del Kurdistan iracheno è in forte espansione, da numerosi punti di vista. Siamo partiti da condizioni per nulla favorevoli, ma negli ultimi anni siamo riusciti a portare avanti una politica prospera e puntata al progresso. Il punto chiave è sicuramente la coesione del popolo curdo, che di suo non ha mai sentito le differenze sociali, né religiose. In Kurdistan convivono cristiani, sunniti e sciiti, senza alcun tipo di discriminazione. E a oggi vantiamo la realizzazione di più di trenta poli universitari e quattro aeroporti, lo sviluppo di servizi e infrastrutture, un livello di sicurezza altissimo, e la valorizzazione del territorio con il miglioramento dell'agricoltura e del turismo. La città di Erbil s'è guadagnata il titolo di capitale del turismo arabo per il 2014, Sulaymaniyah invece è diventata capitale culturale del Medio Oriente".
In che modo si esplicita la vostra autonomia?
“La nuova Costituzione dell'Iraq attribuisce ampi poteri alle regioni. In particolare, la Regione del Kurdistan vanta dal 1992 di un Governo Regionale e un suo Parlamento. Inoltre, sono stati creati numerosi ministeri, quale il ministero degli interni, della difesa 'Peshmerga', delle risorse naturali, dell’economia e finanze, della giustizia, della salute, dell’educazione, del turismo, del lavoro, della cultura, dei martiri di Anfal, dell’agricoltura, del commercio, dei trasporti, degli affari religiosi etc.. Inoltre, quanto alla politica estera, il Governo ha costituito un dipartimento adibito alle relazioni con l’estero e ha aperto numerose rappresentanze del governo regionale del Kurdistan nei principali paesi della Comunità internazionale”.
La Regione, tra l'altro, è ricca di giacimenti di petrolio e gas naturale.
"Esattamente. Il Kurdistan possiede un enorme potenziale di risorse di petrolio e gas ancora non sfruttate, che potrebbe portare la regione a diventare una fonte di energia importante sul mercato internazionale. Esistono già leggi che tendono a favorire e ad attirare gli investimenti stranieri, e numerose sono già le aziende che investono, e non solo sul campo energetico".
Recente è anche la notizia dell'intenzione di vendere petrolio alla Turchia, decisione che ha ricevuto reazioni piuttosto dure da parte di Baghdad.
"La Costituzione irachena stabilisce che i proventi dalla vendita del petrolio siano distribuiti in maniera equa tra le diverse parti del paese, per garantire uno sviluppo omogeneo di tutto il paese, essendo 'il petrolio e il gas naturale di proprietà di tutto il popolo dell'Iraq in tutte le regioni e le province'. La Regione del Kurdistan dovrebbe ricevere il 17% di tali introiti, ma il governo centrale non ci ha mai garantito tale percentuale, fino a bloccare totalmente il budget previsto per la regione. In tale cornice, la Regione del Kurdistan si è trovata ad intessere dei rapporti diretti con paesi quali la Turchia per la vendita diretta del petrolio, per non arrestare lo sviluppo economico della Regione. Inoltre, la vendita del petrolio alla Turchia garantirebbe maggiori entrate che gioverebbero a tutto l’Iraq federale. Si sta tuttavia cercando di pervenire ad una rappacificazione nei rapporti, consentendo così l’applicazione integrale della Costituzione dell’Iraq, che prevede la sigla di accordi internazionali con società petrolifere nell’ottica di uno sviluppo economico del paese”.
Cosa significa, per i curdi, avere una propria regione autonoma?
"C'è principalmente il riconoscimento di alcuni aspetti identitari finora negati, o completamente ignorati. Abbiamo una lingua e una cultura, che per troppi anni ha subito ingerenze dalle varie sovranità nazionali in cui ci siamo ritrovati ad essere una 'minoranza', nonostante il fatto che abitiamo da sempre queste terre. In maniera diversa, hanno sempre tentato di limitarci, vietarci, o addirittura eliminarci. In Kurdistan le ferite degli attacchi chimici sono ancora fresche, e tanto stiamo facendo affinché si riconosca il genocidio perpetrato dalle forze militari di Saddam. Oggi è motivo d'orgoglio sentirci un'entità concreta già nel nome stesso della Regione, o nella possibilità di poter insegnare la nostra lingua nelle scuole".
Nel frattempo, Erdogan sembra aprire a Ocalan, e a porre fine ai conflitti con il PKK, e in Siria, nel caos della guerra civile, pare che le entità curde si siano fatte spazio, minimamente, da un punto di vista di identità più politica. Cosa prevede per i curdi presenti negli altri paesi? Può il Kurdistan iracheno rappresentare un modello per loro?
“Il modello è chiaro e solido. Noi in Iraq abbiamo certamente compiuto un passo enorme, per quanto riguarda il riconoscimento dell'identità curda. Negli altri paesi ci sono da considerare più di un aspetto. Ogni governo ha operato contro i curdi in maniera diversa, e ogni gruppo curdo ha avuto una reazione differente. In Iran è ancora in atto una repressione, con esecuzioni sommarie e processi iniqui; il problema in Siria è la loro divisione interna, che non gli consente di poter portare avanti un percorso preciso; in Turchia s'è invece scelto la via militare, e abbiamo visto a cosa ha portato. Il Presidente Barzani, che oltre ad essere il Presidente della Regione del Kurdistan, rappresenta il Presidente di tutto il Popolo kurdo, sta svolgendo un ruolo di mediatore fondamentale nella rappacificazione di tutti i focolai esistenti nei vari Kurdistan. Grazie alla crescente amicizia e rispetto reciproco tra le due parti e specilamente col Premier Erdogan, si sono compiuti degli enormi passi in avanti nel riconoscimento di una parte dei diritti dei curdi in Turchia. Così in Siria e Iran, il Presidente Barzani invita i fratelli kurdi ad essere uniti e a dialogare pacificamente coi rispettivi governi. Non è più tempo infatti di rimanere in montagna a combattere. Oggi la strada da battere è la diplomazia, e mantenersi solidi e compatti per il raggiungimento di un obiettivo comune. È ciò che abbiamo sempre perseguito, e ci ha portati al punto in cui siamo”.
Dino Buonaiuto