"Il grande Gatsby" di Baz Luhrmann, una giostra impazzita di suoni e colori
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Il grande Gatsby di Baz Luhrmann, tratto dall’omonimo romanzo di Francis Scott Fitzgerald, ne è la quarta trasposizione. Il film è stato proiettato il 15 maggio all’apertura del Festival di Cannes ed è uscito nelle sale italiane il 16 maggio 2013.
L’imponente sarabanda di suoni e colori, che si agita sullo schermo per 140 minuti, forse abbaglia, stordisce e disturba i sensi ma non è poi così fuori luogo rispetto al contenuto della storia messa in scena; può essere altresì una pregnante metafora del sogno insensato, dell’illusione tradita, una girandola che risucchia lo sguardo nel moto vorticoso delle sue punte dinanzi ad occhi attoniti ed offuscati dal desiderio di oltrepassare la soglia dell’inverosimile. Il sognatore irretito cade per voluttà di sé in quelle sordide trame come un soldato cieco senza più occhi per discernere il vero nella giostra impazzita del suo cuore innamorato che ne restituisce, alla fine della folle corsa, sterili e fredde, le macerie.
Il Grande Gatsby, ambientato nella New York degli anni venti, in un mondo in cui dominano ostentazione ed apparenza, narra l’amore insensato di Gatsby per Daisy, un amore durato solo un mese che lascia nel cuore del protagonista radici così forti da farlo vivere per cinque anni con l’unico scopo di accumulare ricchezze e ritrovarla per offrirgliele. Ma Daisy, amante dei soldi e della bella vita, resta insensibile alla purezza e alla profondità di tale sentimento.
Quando si tratta di un così potente immaginario universale - come quello creato da Francis Scott Fitzgerald ne Il Grande Gatsby - ad essere preso in considerazione da una qualunque abilità registica, non è possibile confinare il giudizio ad una particolare visione soggettiva, è inevitabile altresì riferire l’esperienza visiva all’immaginario di tre autori consequenziali di cui il regista è necessariamente l’ultimo e la cui fantasia, più che tradurre il testo in immagini, deve essere in grado di mettere in scena quelle già esistenti. Il nuovo creatore d’immagini, terzo ad autore e lettori, dovrebbe possedere tale intuizione per cui tutte le sue belle fantasticherie sappiano essere aderenti a migliaia di fantasie e sogni personali e collettivi o quanto meno non debbano tradirli. [MORE]
Il Grande Gatsby è un’opera di letteratura che contiene nella propria struttura una strabiliante capacità e forza di fascinazione visiva, ove la parola è immagine e il tessuto narrativo tramuta l’evocazione in atmosfere struggenti. Il romanzo di F. S. Fitzgerald è già rappresentazione impressionista di un luogo cinematografico perché non descrive, mostra. Il dialogo dei personaggi è l’azione. Non vi è racconto ma scena, in cui i frammenti della storia sono immagini che fluiscono una dopo l’altra e rivelano nel finale il proprio significato.
Baz Luhrmann non ha saputo - o non ha voluto - far altro che questo: raccogliere quei frammenti, dare un colore predominante allo sfondo, aggiungere i suoni, scegliere i vestiti, arredare il castello, preparare i fiori per Daisy, poiché tutto quello che nel film ha la capacità di scuotere, avvincere, estraniare e commuovere in alcun momento, mai, gli appartiene. Il testo di Fitzgerald è la nota emotiva dominante del film, ed è la sola; le inquadrature e le scene si susseguono per star dietro al suo testo, lo pedinano in modo serrato per guadagnare empatia, per poi perdersi nel piacere incommensurabile di citare, disegnare, colorare il sogno romantico.
Sono le parole e i significati del romanzo, non tradotti ma citati, ubriacati di luce, presi in prestito, a far scaturire la vitalità drammatica del film, come avviene nella scena in cui Gatsby tende la mano verso la luce verde sul pontile. L’immagine è solo decorazione barocca e posticcia alla forza impressionista del testo.
Quale potrebbe essere il senso di una simile trasposizione cinematografica, baldacchino d’oro a ornamento di un capolavoro della letteratura?
Alla luce del contenuto dell’opera, lo sfondo scenografico - l’unica cosa che Baz Luhrmann ha aggiunto a Gatsby - può acquistare una coerenza tematica e rimanere aderente al significato del racconto e all’autenticità del personaggio.
La sensualità di F. S. Fitzgerald si esprime attraverso una forte sensibilità estetica, motivo per cui il romanzo ha uno sfondo pacchiano, volgare e vacuo, simbolo di cose vane e creature noncuranti, sfondo che la ricetta stilistica di Baz Luhrmann incarna e ricalca da valido portavoce. A tale sfavillante ed effimera cornice dorata - fatta di ostentazione e maniera - si accosta per contrasto, facendone risaltare i contorni, l’anima pura di misteriosa vaghezza del protagonista, presa in prestito al ricordo dei ruoli romantici interpretati da Leonardo Di Caprio, le cui movenze delicate e gentili suggeriscono per associazione ingenuità e dolcezza.
Un film inutilmente vistoso e pacchiano ha dunque un’anima raffinata: l’evocazione dell’ideale romantico incarnato da Gatsby, capace di commuovere persino se scaraventato dentro una giostra impazzita di suoni e colori. La forza del racconto, la sua parola, sebbene qui vestita a festa di luce e paillettes, resta il solo capolavoro visivo che sparse citazioni riportano al cuore e alla mente e che il 3D vorrebbe condurre agli occhi di sognatori nostalgici, capaci di spargere lacrime ovunque vedano qualcosa capace di ricordar loro tale sublime ispirazione e giustificazione ai propri guai.
Titolo originale: The Great Gatsby
Regia: Baz Luhrmann
Interpreti: Leonardo DiCaprio, Tobey Maguire, Carey Mulligan, Joel Edgerton, Isla Fisher, Jason Clarke, Adelaide Clemens, Elizabeth Debicki, Amitabh Bachchan, Callan McAuliffe
Origine: Australia/USA 2013
Distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia
Durata: 143'
Gisella Rotiroti